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Obama tenta di ricucire lo strappo con Biden, ma solo la vittoria di Kamala può riunirli

“Yes she can”: Barack Obama le presta e le adatta il suo slogan di Usa 2008, ‘Yes we can’, vincente e coinvolgente. Joe Biden le lascia la sua candidatura. I due sodali del doppio mandato democratico 2009-2017, Obama presidente, Biden vice, dopo aver reso possibile la candidatura di Kamala Harris alla Casa Bianca, la sostengono alla convention democratica di Chicago, perché sia il 47° presidente degli Stati Uniti, la prima donna e la prima esponente di una doppia minoranza, afro-americana e indiana.

Sul palco della kermesse, nella seconda serata, Obama parla di Biden come di un “fratello”. Però, fra i due, qualcosa s’è incrinato: a ricomporlo, potrà forse essere la vittoria di Harris il 5 novembre, che non è acquisita, perché, come ammoniva la sera prima Hillary Clinton, “Il futuro è qui… Ma nei giorni che restano fino al voto dovremo lavorare duramente: non importano i sondaggi, non possiamo mollare”. Parole ancora pregne della sua amara esperienza di super favorita poi sconfitta nel 2016 proprio da Donald Trump, l’avversario d’una generazione di democratici.

Il discorso di Obama, preceduto da quello della moglie Michelle, altra icona democratica, il ‘sogno nel cassetto’ di molti elettori, chiude la seconda serata della convention democratica a Chicago: l’intervento è un vibrante sostegno alla candidatura Harris; e una messa in guardia contro il ritorno al potere di Trump.

L’ex presidente racconta Kamala e ne tratteggia l’agenda: la campagna della candidata spera che l’oratoria di Obama, un po’ complessa, ma convincente, spinta al voto per Harris e per il suo vice Tim Walz nuovi elettori, uno degli obiettivi della convention. Harris e Walz non sono lì ad ascoltare: non è uno sgarbo, era previsto, hanno un comizio in Wisconsin, uno degli Stati in bilico. Walz è atteso a Chicago come protagonista questa sera.

La seconda serata della convention democratica vuole testimoniare l’energia e l’afflato crescente della coalizione democratica intorno alla nuova candidata, elettori tradizionali, donne, giovani, minoranze. Ma il discorso di Obama è anche un tentativo di rammendare il rapporto con Biden, che non c’è perché, dopo la sua performance la prima sera, è già in vacanza con la famiglia, la moglie Jill, che – ha detto – “si reinnamora di lui ogni giorno”, e la figlia Ashley, che, sul palco della convention, aveva gli occhi lucidi parlando del padre e guardandolo “passare la torcia” ad Harris.

Obama dice: la storia ricorderà il presidente Biden per avere “difeso la democrazia in un momento di grande pericolo”. La riconoscenza di Obama a Biden è la stessa già manifestata dal popolo della convention con un’ovazione di cinque minuti al presidente uscente al canto di “Thank You, Joe”, prima che iniziasse a parlare. E ha una triplice valenza: grazie per quello che hai fatto nei tuoi cinquant’anni di carriera politica e da ultimo nel tuo mandato da presidente; grazie per avere battuto Donald Trump nel 2020; e grazie per esserti fatto ora da parte e averci dato una speranza di battere ancora Trump nel 2024.

Infatti, ringraziato Joe, Barack e Michelle, in discorsi evidentemente coordinati, parlano entrambi della speranza, che è Kamala, e cercano di trasmettere la loro energia – quella che Biden candidato non aveva più – a milioni di americani, spaventati come loro del ritorno di Trump alla Casa Bianca.

Che, intanto, ‘inciucia’ con il candidato terzo incomodo Robert F. Kennedy jr, che potrebbe lasciare la corsa e dargli il suo endorsement, in cambio d’un qualche posto in una eventuale nuova Amministrazione Trump, e con Elon Musk, per cui prepara un pericolosissimo ministero ai dazi e alla deregulation – roba che dovrebbe spaventare i consumatori e i lavoratori di tutta l’America.

Biden se ne va dalla convention, dopo essersi fatto da parte dalla corsa alla Casa Bianca. Gli Obama hanno lavorato in sordina, dietro le quinte, perché lui decidesse di ritirarsi: una vena d’amarezza, nell’amicizia fra i due leader; non una vera e propria rottura.

Un’altra ‘grande vecchia’ dell’establishment democratico, Nancy Pelosi, è stata molto più vocale ed esplicita nel ‘tirare la giacca’ al presidente e nel dare voce alle spinte a lasciare. E con lei, che, come speaker della Camera, era stata la sua ‘spalla’, più di Harris, nella prima metà del suo mandato, non c’è più stato dialogo nell’ultimo mese. Biden lo ammette e non le riconosce un ruolo nel suo ritiro: “No, non le ho parlato. Nessuno ha preso la mia decisione, tranne me. Nessuno sapeva che stava arrivando”: così il presidente a Chicago risponde ai giornalisti che gli chiedono se avesse parlato con Pelosi dopo il ritiro. Una risposta che non allontana il sospetto di un rancore.

A riunire tutti in un abbraccio potrà essere solo una vittoria il 5 novembre: ritrovarsi tutti sul palco dell’inaugurazione di Harris il 20 gennaio 2025, i Clinton, gli Obama, i Biden, Pelosi, consapevoli d’avere, nel giro di 16 anni, portato il primo nero e poi la prima donna alla Casa Bianca e di avere forse definitivamente respinto la minaccia di Trump e del ‘trumpismo’ che non gli sopravviverà, sarebbe un momento di redenzione per tutti. Ma, perché il sogno diventi realtà, ci sono davanti – Hillary ne è testimone – 75 giorni di duro lavoro.

Il passato e il presente; e, poi, il futuro. La convention di Chicago ha speso le prime due sere a raccontare quello che è stato, e quello che ha fatto, il Partito democratico per gli Stati Uniti; e dedicherà le ultime due a presentare i volti del partito (e dell’America, se così decideranno gli elettori il 5 novembre) per il prossimo quadriennio, con Walz e domani sera, in chiusura, Harris sul palco.

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