La crisi della giunta di centro-sinistra a Verona si è risolta dopo 40 giorni di braccio di ferro tra un assessore (Michele Bertucco) “obbediente” al programma elettorale della coalizione di appartenenza ecologicamente orientato, ma “disobbediente” al sindaco (Damiano Tommasi) che voleva imporre la volontà della sua maggioranza per la cementificazione di un terreno agricolo di 150 ettari, l’area Marangona, da destinare di fatto alla logistica. Ma non solo, perché l’intento era addirittura anche quello di censurare ogni forma di dissenso interno con un “codice di comportamento” approvato dalla stessa maggioranza che alla fine è rimasto nascosto nel cassetto, tanto appariva indecente.
A risolvere la crisi solo l’intervento congiunto di Schlein e Fratoianni per evitare che il caso assurgesse alla cronaca nazionale compromettendo future alleanze regionali o nazionali. Questa, per me, è la verità. I problemi politici rimangono tutti sul tavolo.
Non si è trattato di un incidente di percorso, ma di una contraddizione, tra “il dire” del programma elettorale e “il fare” dell’attività amministrativa conseguente; una contraddizione forse neppure percepita perché si dà per scontato – come prassi diffusa tra tutte le forze politiche – che il programma elettorale sia solo uno stanco rituale di fallaci promesse “che non finiscono mai”. Dietro questo misconoscimento, sta la convinzione profonda che ci siano da fare quanto prima delle “cose oggettive”, cioè quelle necessarie per incrementare la ricchezza espressa dal Pil senza preoccuparsi troppo di effetti collaterali di sorta a medio-lungo termine.
In una fase di recessione economica più o meno strisciante, in cui tutta la manifattura viene continuamente delocalizzata in aree del globo a minor controllo sociale, le uniche risorse che appaiono convincenti per l’orizzonte dell’attuale politica, cioè l’immediato, sono da una parte la logistica per la movimentazione delle merci d’importazione e dall’altra il turismo con il suo esteso indotto sostenuto dalla curiosità verso il vecchio continente di cui l’Italia è parte rilevante. Queste le “forze oggettive” che muovono l’economia di tutto l’Occidente e alle quali bisogna quindi adeguarsi, anche obtorto collo.
Promuovere alberghi di lusso in aree urbane pregiate sacrificando i centri storici, potenziare infrastrutture a valenza commerciale sottraendo sempre più suolo alle periferie, rimodellare gli assetti urbanistici per renderli funzionali ad ospitare competitivi poli di attrazione turistica, diventano i driver totemici dell’amministrazione cittadina.
Questo è il nodo strutturale dietro cui si nasconde il “caso Bertucco” eligìbile ad emblema di molte altre città italiane in cui, pur filtrate da diverse specificità, Destra e Sinistra si misurano non tanto su valori di riferimento e priorità strategiche, tacitamente condivisi, quanto su capacità e competenza autoreferenziali di saper gestire al meglio l’esistente. Tradotto in prosa significa: vinca il più bravo a fare le stesse cose. E questo quando non si ricorre alla corruzione. Controprova ne è il nuovo immediato subentrante ostacolo che vede ancora contrapposti da una parte Bertucco (o altri fuori dal coro come lui in altri contesti) e dall’altra l’intera compagine di un eterogeneo centro-sinistra in cui il Pd per numerosità ne costituisce l’ossatura.
Il nuovo oggetto del contendere è la realizzazione di un invaso cementificato di 4 ettari di terreno agricolo (più altro per tutti i servizi di supporto ed intrattenimento) necessario per creare l’ “Onda Surf”, un mega-impianto per la generazione artificiale (con fonti di energia non certo tutte rinnovabili) di onde d’acqua all’interno di una sorta di lago artificiale dedicato alle tavole da surf. Il costo orario di questo sport in impianti similari esistenti non è certo popolare, partendo da 50 euro in su.
E tutto questo nell’assoluta dimenticanza di una crisi climatica, energetica, idrica e d’inquinamento antropico sistemico. Un impatto ambientale, idrico, sanitario e paesaggistico rilevante che potrebbe anche essere adeguatamente stimato a priori.
Sconcertante è che questa proposta, presentata da un imprenditore privato ovviamente alla ricerca di un utile, sia sostenuta con tanta forza da un assessore del Pd locale, Federico Benini, che è riuscito a mettere d’accordo tutti i commissari della Circoscrizione cittadina coinvolta di cui fu storico rappresentante, tant’è che il voto è stato unanime. Destra e Sinistra uniti nella lotta contro la Natura, potrei chiosare.
La morale è che non basta una “tirata d’orecchi” al sindaco calata d’alto per rimediare a questo mix di omologazione valoriale al ribasso, incompetenza tecnica e miopia politica che non può certo tradursi nella capacità di orientare le risorse private verso il bene comune in una sorta di convergenza d’interessi. Può solo assecondare o respingere di volta in volta le proposte di parte privata che, per definizione, non raggiunge mai una visione d’insieme.
Questa dovrebbe rappresentare invece la cifra distintiva della parte pubblica per esercitare il proprio mandato istituzionale che è quello di governare e non di subire i processi. L’interesse collettivo ne sia il fine e il perseguimento di rigorosi programmi elettorali ne costituisca il mezzo, se non si vuole ridurre la politica a mera chiacchiera.
E’ necessario un sussulto dei cittadini tutti non solo per eleggere nuovi capi – come accaduto nelle primarie del Pd – ma soprattutto per rinnovare i quadri politici intermedi che guidano ancora la macchina amministrativa e che non sono più culturalmente adeguati al tempo della crisi globale, nelle piccole e nelle grandi storie del nostro Paese, o Nazione che dir si voglia.