Economia & Lobby

Cannabis light: cacciati dalle nuove norme e dalla burocrazia, i grandi produttori preparano la fuga verso l’Africa. I piccoli? Falliranno

Un fiore all’occhiello del made in Italy raso al suolo, un intero comparto agricolo messo in ginocchio da quello stesso governo che si professa difensore dei “trattori” e dell’economia rurale. Così i grandi imprenditori della canapa si preparano alla fuga, in altri Paesi d’Europa oppure in Africa, dove la burocrazia marcia più spedita. Per i […]

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Un fiore all’occhiello del made in Italy raso al suolo, un intero comparto agricolo messo in ginocchio da quello stesso governo che si professa difensore dei “trattori” e dell’economia rurale. Così i grandi imprenditori della canapa si preparano alla fuga, in altri Paesi d’Europa oppure in Africa, dove la burocrazia marcia più spedita. Per i pesci piccoli, invece, delocalizzare è un miraggio e le speranze di sopravvivenza sono al lumicino. L’emendamento firmato dal governo mette la ghigliottina alla cannabis light con una sola mossa: l’equiparazione tra la canapa senza Thc e il fiore ricco di Thc. Una scelta così insensata da far scendere in trincea perfino Coldiretti, di solito con i guanti di velluto verso il governo Meloni. In un comunicato, l’associazione non ostile a palazzo Chigi annuncia il rischio di estinzione di “un intero settore”, con la morte di “aziende agricole che hanno già fatto investimenti”. Perciò chiede la modifica dell’emendamento voluto dal governo”. Ma le destre non ci sentono. Anzi, nel vuoto vacanziero, il 9 agosto Matteo Salvini ha rilanciato la sua crociata contro la cannabis light: “La droga va sempre vietata, tranne l’uso terapeutico”.

Qualcuno nel terrore, tutti nello sconcerto, gli imprenditori della canapa si preparano al terremoto di settembre, quando si conoscerà il destino del contestatissimo emendamento al ddl Sicurezza. Se venisse approvato, circa 3mila aziende diventerebbero fuorilegge e 11mila lavoratori con famiglie al seguito contempleranno la disoccupazione. “Io ho già aperto un’azienda in Repubblica Ceca come piano B e sono in tanti a preparare la fuga”, racconta Raffaele Desiante, presidente dell’associazione “Imprenditori canapa Italia”. La Cechia ha legalizzato la canapa con il Thc fino all’un per cento, ecco perché attrae il business della cannabis light. Del resto, è legale in tutta Europa. Le aziende guardano con interesse anche alla Slovenia, la Francia, l’Austria, soprattutto alla Germania dove legalizzato anche la canapa ad alto contenuto di THC

Ma non tutti possono permettersi il lusso di trasferirsi all’estero: certo non gli agricoltori della canapa, ancorati alla loro terra e abbandonati dal ministro Lollobrigida. I coltivatori, mentre la pianta è in fioritura e in attesa del raccolto di settembre, possono solo sperare che il governo rinsavisca cancellando l’emendamento. Le aziende con serre indoor invece potrebbero riparare all’estero, ma servono fatturati importanti, anche milionari, per fare armi e bagagli. La filiera agricola invece è composta da un migliaio di aziende piccole e medie: il 99 per cento degli agricoltori lavora in campo aperto perché l’indoor è costoso e con leggi così ambigue, solo pochi “incoscienti” hanno investito sulle serre.

Desiante possiede due aziende: quella agricola resta in Italia, anche se indoor; l’altra, dedicata alla distribuzione dei prodotti, è pronta a cambiare bandiera. “I miei marchi sono già commercializzati in tutta Europa, ho aziende per la distribuzione anche in Francia e Germania”. Lui vende infiorescenze, oli, cosmetici, tisane, prodotti di benessere. Tutto a base di cannabidiolo (Cbd) il principio attivo della canapa privo di effetti psicotropi ma con qualità rilassanti. Grazie ad un decreto del ministro della Salute Orazio Schillaci, il Cbd per uso orale è classificato come stupefacente: dunque solo le aziende farmaceutiche autorizzate potranno produrlo e venderlo. Ma la burocrazia per il semaforo verde è una via crucis, in Italia, e molti preferiscono l’Africa. Come Nicola D’Addazio, esperto di legislazione del farmaco e consulente, con una filiale a Sud del Mediterraneo.

In Italia ha aperto la sua azienda di distribuzione farmaceutica, Naponos, ma per ottenere l’autorizzazione ha dovuto cambiare sede. “Un’Asl siciliana mi ha tenuto a bagnomaria per un anno – racconta l’imprenditore – i funzionari pubblici mi hanno confessato: ‘Sono 18 anni che non diamo autorizzazioni ai distributori perché non ce lo chiedono, e noi non sappiamo come funziona’”. Per spuntare il via libera D’Addazio si è spostato a Siracusa, dove gli uffici sono più esperti. Vende prodotti medicinali e di benessere a base di Cbd e Cbg (l’altro principio attivo legale). Ma sempre più spesso vola in Africa per curare i suoi affari e le consulenze ad altre imprese.

Alcuni Paesi hanno liberalizzato la cannabis attraendo aziende da tutto il mondo: Sudafrica, Malawi, Zimbabwe, Zambia, Lesotho. In alcuni è legale solo il cannabidiolo, in altri anche il Thc e si medita se consentirne l’uso ricreativo. Anche gli italiani, terrorizzati dall’emendamento del governo, guardano all’Africa: molti, per orientarsi nella legislazione, si rivolgono a Nicola D’Addazio. Il piano di chi sbarca in Africa è ambizioso: si inizia con la cannabis light, ma lo scopo è vendere farmaci in Europa con l’autorizzazione dell’Ema (European medicines agency). Se la meta è il Vecchio continente, perché scendere oltre il Mediterraneo? “In tre mesi ottieni l’autorizzazione – dice D’Addazio – e non perché è più facile: c’è una legge chiara, un organo che ti assiste e non ti ostacola, in cambio paghi una tassa tra i 20 e i 30mila euro una tantum”. In Italia, invece, i tempi possono diventare biblici.

D’Addazio sta aprendo una farmacia a Lilongwe, capitale del Malawi, “perché in 20 giorni si ottiene l’autorizzazione”. Così può vendere anche i suoi prodotti ricchi dei principi attivi della canapa. “A Lilongwe ci sono venti farmacie per un milione di abitanti, io offrirò visite mediche a basso costo accessibili a tutti”. In Malawi, secondo D’Addazio, ci sono circa 140 aziende con licenza per vendere prodotti con i principi attivi della cannabis.

Matteo Moretti, patron del delivery di cannabis light JustMary, da Milano ha aperto due filiali in Francia e in Inghilterra. I fondi incassati nel 2023 e nel 2024, grazie ai bandi Simest per l’e-commerce, hanno aiutato l’espansione all’estero: circa 190mila euro in due anni. Simest fa capo a Cassa depositi e prestiti, controllata dal ministero dell’Economia. “Come JustMary, sono tante le aziende di cannabis light che hanno ricevuto prestiti – dice Matteo Moretti – ma se passa l’emendamento, come faremo a restituirli? Per me la priorità è conservare il posto di 15 lavoratori inclusa una ragazza incinta”. Con la mano sinistra, lo Stato ha aiutato e sostenuto la cannabis light, mentre la destra la rade al suolo.