La diserzione ovvero – dal latino desertiōne, da deserĕre (abbandonare) – è un reato consistente, appunto, nell’abbandono, per svariati motivi, del proprio reparto militare, ma può divenire anche un simbolo dell’«abbandono di ogni campo di battaglia, sopravvivenza ai margini di una società che si sta disfacendo, autosufficienza nell’esilio dal mondo», scrive Franco Berardi, saggista e leader, noto come il Bifo del movimento degli autonomi del ’77, nel suo recente Disertate (2023), edito da Timeo.

Sul tema, esce ora, in italiano, anche L’ultima battaglia, romanzo postumo di Julio Manuel de la Rosa (nato a Siviglia nel 1935 e morto nel 2018), maestro di giornalismo (ABC, El Correo de Andalucía, Diario 16 e numerose riviste spagnole) nonché scrittore di successo. L’ultima battaglia (Scritturapura) è tradotto dallo scrittore ligure Marino Magliani, già autore di un altro libro sulla diserzione, Il cannocchiale del tenente Dumont, edito da L’Orma, la cui genesi è durata vent’anni.

Mi dilungo, forse troppo, nell’elencare (solo alcuni) testi che affrontano il tema della diserzione proprio perché i media ne parlano pochissimo, in un momento storico in cui il mondo è afflitto da conflitti che ancora non sappiamo che ulteriori nefaste conseguenze porteranno, come, ad ogni Angelus, ci ricorda Papa Francesco con ripetitività (giustamente) ossessiva quanto impotente.

Quasi un’eccezione è stata l’intervista di Marina Lalovic, per Rainews24, a Grigory Sverdlin, fondatore della rete “Go by the forest” (Passa dalla foresta) che aiuta i soldati russi (e ucraini) a disertare. Fino ad oggi c’è riuscito con circa 5000 richiedenti aiuto (sia a uscire dalla Russia che ad abbandonare l’Ucraina). E anche in Ucraina, dopo gli entusiasmi iniziali – mi raccontano molti amici di Kiev – le diserzioni cominciano ad essere una valvola di sfogo dal terrore. A un anno dall’inizio della guerra – secondo i dati dello Stato maggiore delle forze armate di Kiev (aprile 2024) – la Russia avrebbe perso 451.730 soldati negli attacchi in Ucraina dove, invece, secondo la missione di monitoraggio delle Nazioni Unite, i civili ucraini uccisi sarebbero più di 10 mila, di cui 575 minori, ma i dati reali il governo di Kiev non li ha mai rivelati. Sverdlin ha fatto espatriare finora circa 5000 soldati.

L’ultima battaglia racconta di un cecchino sovietico, allievo del mitologico Vasilij Grigor’evič Zajcev, tiratore scelto dell’Armata Rossa durante l’assedio di Stalingrado da parte dei nazisti (pare che Zajcev abbia ucciso quasi 250 tedeschi colpendoli a distanza, affrontando in una sanguinosa gara il suo omologo della Wehrmacht, Erwin König). Un assedio raccontato dal bel film di Jean-Jacques Annaud Il nemico alle porte (2001). L’allievo che ha combattuto a Stalingrado, però, abbandona il maestro e decide di disertare, ritrovandosi, dopo una rocambolesca fuga, ad Auschwitz, dove incontra un «ragazzo italiano che parlava come un poeta», riconoscibile in Primo Levi. Ma anche da Auschwitz il disertore fugge e da qui ha inizio la sua tremenda odissea nella steppa. Fino al termine della guerra, quando dove ritorna al campo di sterminio osservando il macello dei suoi ex compagni.

Marco Giannetti, curatore de L’ultima battaglia, sintetizza come quel soldato diserti “non soltanto dal suo esercito e dalla guerra che sta combattendo contro i nazisti, ma da ogni Guerra, in ogni luogo e in ogni tempo. Una magistrale epopea sulla miseria della guerra, sull’assurdità della sua logica, sull’istinto di sopravvivenza”. E ancora, sottolinea Marco Ansaldo, analista geopolitico e autore della prefazione al libro: “Un soldato senza tempo, che attraversa tutte le guerre, un fantasma che fugge dall’orrore. Siamo noi, anche, davanti a un conflitto allargato che pare alle porte. Con la mente confusa, i ricordi frammentati. La memoria li fa passare davanti come pezzi di Storia. Il disertore indossa le toppe delle uniformi di tutte battaglie. Un testo che, con i giusti adattamenti, meriterebbe di essere portato a teatro”.

Un libro che mi riporta alla mente la meravigliosa creazione dell’autore e musicista francese Boris Vian (1920-1959), una delle più belle canzoni antimilitariste di tutti i tempi, Le diserteur (Il disertore), cantata in italiano da Ivano Fossati, Gino Paoli, Ornella Vanoni e tanti altri. Eccone un brano: «In piena facoltà/ egregio presidente/le scrivo la presente/che spero leggerà/. La cartolina qui/mi dice terra terra/di andare a far la guerra/quest’altro lunedì/. Ma io non sono qui/egregio presidente/per ammazzar la gente/più o meno come me/ […]/Per cui se servirà /del sangue ad ogni costo/andate a dare il vostro/ se vi divertirà/. E dica pure ai suoi/se vengono a cercarmi/che possono spararmi/io armi non ne ho».

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