A dicembre 2023 è stata condannata all’ergastolo dalla Corte di assise di Reggio Emilia per l’omicidio della figlia. Ad agosto è arrivato l’ok delle autorità del Pakistan all’estradizione. Ora Nazia Shaheen, 51 anni, madre di Saman Abbas, arrestata il 31 maggio nel paese asiatico, è arrivata in Italia. E’ atterrata alle 14.40 all’aeroporto Fiumicino dopo uno scalo a Istanbul. Per lei si apriranno le porte del carcere. Era latitante dal primo maggio 2021, il giorno in cui era tornata in patria da Novellara. Dopo l’arresto, ha dato il consenso all’estradizione. Un anno fa è stato consegnato all’Italia il marito, Shabbar, anche lui condannato all’ergastolo in primo grado. Un terzo imputato, Danish Hasnain, zio di Saman, ha avuto una condanna a 14 anni. Assolti invece i due cugini della giovane vittima, Nomahulaq Nomanhulaq e Ikram Ijaz. Il processo di secondo grado si celebrerà in autunno dinanzi alla Corte d’Appello di Bologna.
Secondo quanto si è appreso, la donna, accompagnata in Italia dal personale del Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia della Direzione Centrale della Polizia Criminale, coordinato dalla Procura della Repubblica di Reggio Emilia, dopo lo sbarco, nella massima riservatezza, è stata presa in consegna dagli operatori della polizia giudiziaria della Polaria di Fiumicino aeroporto per espletare le formalità di rito. Quindi è stat consegnata alla Polizia penitenziaria e portata nel carcere romano di Rebibbia, in attesa della definitiva traduzione in un carcere emiliano.
“Nel corso della procedura estradizionale in Pakistan – ha spiegato il procuratore di Reggio Emilia, Gaetano Calogero Paci – Nazia Shaheen ha rilasciato diverse dichiarazioni sostenendo di voler fornire la propria versione dei fatti della notte in cui è stata uccisa la figlia, sostenendo anche che lei e il marito non ne sono responsabili e attribuendo la responsabilità ad altri parenti“. Quella della donna “è una ricostruzione – ha proseguito – che chiaramente confligge con quella accertata durante le indagini e asseverata anche dalla Corte di assise di Reggio Emilia, ma ovviamente non possiamo escludere che questa volontà di partecipare direttamente al processo da parte di Nazia non assuma connotazioni diverse e che le possa consentire di pervenire ad una diversa ricostruzione di quei fatti”.
In attesa dell’estradizione, ha proseguito Paci, “la Procura di Reggio Emilia ha continuato ad indagare per pervenire all’identificazione di ulteriori eventuali soggetti che possano aver partecipato alla fase ideativa o esecutiva in danno di Saman Abbas. E ciò perché è stato proprio uno degli imputati del processo a evidenziare la partecipazione di un soggetto, peraltro senza menzionarne l’identità e dunque da questo punto di vista il lavoro che è stato volto continuerà fino alla definizione dell’attività di indagine”.
L’arresto di Nazia era stato l’ultimo risultato del lavoro della Procura e dei carabinieri di Reggio Emilia, frutto anche del lavoro delle diplomazie. Di lei si erano perse le tracce da quando, la mattina dopo il delitto, il 1° maggio 2021, partì con il marito Shabbar con un biglietto di sola andata, da Milano Malpensa per Lahore. La richiesta di estradizione per entrambi era stata firmata dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia il 23 settembre 2021. Ma raggiungere e catturare prima lui e poi lei è stato complesso e altrettanto complicato è stato ottenere una estradizione storica per il padre della ragazza. La madre, secondo i giudici, potrebbe essere stata l’esecutrice materiale del delitto.
Un omicidio che per l’accusa, Procura reggiana e carabinieri, è stata una punizione per la ribellione di Saman, partita con il rifiuto di un matrimonio combinato con un parente in Pakistan. Mentre i giudici hanno dato una diversa lettura: Saman sarebbe stata uccisa al culmine di una serata drammatica, quando i genitori avevano scoperto la sua intenzione di fuggire dalla casa di Novellara dove era rientrata da qualche tempo. E proprio la madre, ripresa nelle ultime immagini con la figlia sul vialetto dell’abitazione, l’avrebbe accompagnata a morire. Durante il minuto in cui è uscita dal fuoco delle telecamere.
La Corte aveva in sostanza riletto, ridimensionandola, la storia della 18enne pachistana ritrovata in una fossa un anno e mezzo dopo la morte e dal 26 marzo sepolta nel cimitero di Novellara. Senza risparmiare critiche alla ricostruzione accusatoria, ai media che avrebbero enfatizzato e distorto la vicenda, e demolendo personaggi come il fratello e il fidanzato. “Non solo la vita di Saman è stata spezzata ingiustamente e troppo presto, ma è stata attorniata da affetti falsi e manipolatori, in una solitudine che lascia attoniti”.