“Non ho bisogno di auto verdi, ho bisogno di mele verdi e di erba verde”. A dirlo è Angela Rojovic, una 25enne serba che lo scorso 10 agosto, insieme a circa trentamila connazionali, ha preso parte alle proteste nella capitale Belgrado contro l’apertura di una nuova miniera di litio nella valle del fiume Jadar, nella parte occidentale del Paese, al confine con la Bosnia-Erzegovina. Il sito è interessato da un progetto, avviato nel 2019, gestito dalla multinazionale anglo-australiana Rio Tinto, che ha comunicato recentemente di aver già investito quasi seicento milioni di dollari, sul totale dei 2,55 miliardi stanziati, per acquistare i terreni, scavare buche esplorative e commissionare studi di fattibilità sull’estrazione.

Nel 2022, in fase pre-elettorale, il governo serbo aveva stoppato il progetto in seguito alle proteste di piazza, ma a luglio di quest’anno, sotto pressione di Bruxelles e del governo tedesco, l’esecutivo ha permesso il rilancio. Il rieletto capo dello Stato Aleksandar Vučić, infatti, da tempo si batte per un ingresso in Unione europea. E a far tornare prioritaria l’apertura della miniera di Jadar è stato il viaggio in Serbia del cancelliere tedesco Olaf Scholz e del vicepresidente della commissione europea Maroš Šefčovič, che hanno incontrato in via ufficiale la ministra per le Miniere e l’energia Dubravka Handanovic. Gli accordi siglati in quell’occasione permetteranno di inaugurare una delle più grandi ed importanti miniere di litio del continente che potrebbe, secondo alcune stime, garantire fino al 90% del fabbisogno dell’Ue, fondamentale per completare la transizione energetica nel settore dei trasporti nei prossimi anni. Inoltre, alle case di produzione auto degli Stati membri sarebbe garantito l’accesso esclusivo al litio serbo.

L’area di Jadar detiene una delle più grandi riserve di litio in Europa, continente ricco di questa materia prima ma povero di impianti di estrazione già avviati. L’apertura della miniera è prevista per il 2028: Belgrado punta a produrre 58mila tonnellate metriche di litio entro il 2030, una quantità che permetterebbe, tra l’altro, al mercato europeo di rendersi sempre più indipendente da quello cinese, un obiettivo geopolitico che interessa i Paesi occidentali e che influenza in maniera determinante le pressioni sulla miniera di Jadar. Il sostegno di Vučić al progetto è infatti ampiamente gradito dall’Occidente perché, oltre a garantire l’approvvigionamento di litio potrebbe determinare una progressiva presa di distanza della Serbia dalla Russia – storico alleato con forti legami politici e culturali – e, ancor di più, dalla Cina, che con Belgrado mantiene ottime relazioni politiche oltre che scambi commerciali e militari.

A dimostrarlo c’è il sostegno degli Usa al progetto, definito pubblicamente da Washington un’“opportunità per contribuire alla transizione verde in patria e all’estero”. Sul territorio interessato, però, il piano incontra una forte opposizione: alle ultime manifestazioni non hanno partecipato solo agricoltori e ambientalisti, ma anche gruppi politici eterogenei, dagli ultranazionalisti ai moderati di sinistra filoeuropei. Secondo quanto riportato dal New York Times, una delle realtà che si è spesa maggiormente contro la nuova miniera è stata People’s Patrol, un gruppo di matrice nazionalista allineato con la Russia di Putin. Allo stesso modo sono state riscontrate diverse attività online da parte di account riferibili alla propaganda e alla disinformazione russa che stanno diffondendo notizie false sulla miniera per minare il futuro del progetto, inviso all’establishment del Cremlino. Secondo alcuni analisti e diplomatici infatti, le proteste saono dirette ed orchestrate direttamente da Mosca. Opposta la ricostruzione di Vučić, schiacciato tra le pressioni russe e quelle dell’Ue: il presidente ha definito i manifestanti parte di una “rivoluzione colorata organizzata dall’Occidente per far cadere il governo”.

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