Politica

Autonomia differenziata, i banchetti sono la nostra forza: lì si costruisce il no allo SpaccaItalia

Quando – per impulso della Via Maestra e della Cgil – si è deciso di sfidare la legge 86 Calderoli, approvata in via definitiva lo scorso giugno, attraverso una raccolta di firme che consenta di pervenire al referendum abrogativo, l’entusiasmo era molto, il timore altrettanto.

Il 5 luglio, alla consegna del quesito in Cassazione, la soddisfazione di essere riusciti a costituire un comitato referendario ampio, formato da due grandi forze sindacali, l’intera opposizione parlamentare ed extraparlamentare (dal Pd a PRC, tranne Calenda), associazioni, parti di movimento (come noi dei Comitati per il Ritiro di ogni autonomia differenziata) e molti protagonisti delle lotte democratiche e della difesa della Costituzione, non riusciva a mascherare del tutto la consapevolezza della enormità del progetto che avevamo di fronte: chiamare le italiane e gli italiani a firmare per l’abrogazione di una legge che mette in atto una delle riforme costituzionali – quella del Titolo V, 2001 – da una parte più pasticciate, ambigue, insostenibili (quella che il compianto Gianni Ferrara definì “un monumento di insipienza giuridica e politica”; lo stesso ex guardasigilli e presidente della Corte Costituzionale, Gian Maria Flick, ora presidente del comitato referendario ne ha parlato e ne parla in termini estremamente critici), dall’altra di difficilissimo approccio e comprensione, considerate le notevolissime e contemporanee implicazioni di carattere istituzionale, costituzionale, economico e sociale.

Il problema era in sostanza: quanti potranno seguirci, se pochi conoscono la norma derivata dalla Riforma del Titolo V? Riusciremo a far comprendere le nostre convinzioni, il senso della nostra critica, del nostro contrasto? Dopo anni di disinformazione o di informazione unilaterale, spesso scorretta e fuorviante, quanti ci seguiranno.

Nell’attività iniziata 6 anni fa, noi dei Comitati abbiamo contribuito a formare e (contro)informare una platea di cittadine e cittadini spesso ignare/i. Ancora oggi tanti/e non sanno, o – ancora – ignorano una serie di pericoli che l’autonomia differenziata arrecherebbe senza dubbio al Sud, ma certamente anche al Nord.

Le firme online ci hanno consentito di raggiungere il risultato con più di un mese di anticipo: un risultato tanto più straordinario quanto più il tempo disponibile non sono stati i consueti 3 mesi; partita la raccolta firme il 20 luglio sul cartaceo e il 24 online, le firme raccolte devono essere depositate in Corte di Cassazione entro il 30 settembre, per consentire il referendum entro la prossima primavera; altrimenti si slitterebbe di un anno, un tempo non utile per inceppare il meccanismo che la legge 86 mette in campo. Poco più di 2 mesi, dunque.

Le 500mila firme conseguite in meno di un mese sulla piattaforma incoraggiano a sperare nel conseguimento di un numero ancor più significativo, che scopriremo quando verranno conteggiate le numerose firme che tanti soggetti si stanno impegnando a raccogliere sui moduli cartacei.

Sono i banchetti la nostra forza, il nostro investimento per il futuro; è lì che si dialoga con la gente, che si costruisce relazione, si interloquisce, si spiega, si conquista il consenso, talvolta imprevisto: la firma – in quei casi – viene accolta come una piccola vittoria. È lì che c’è il grosso del lavoro, la cultura democratica che prende corpo in un bisogno di relazione, comprensione, confronto.

Le 500mila firme non devono distoglierci da questa constatazione: non dobbiamo CONTINUARE a raccogliere, dobbiamo – casomai – POTENZIARE la raccolta, RADDOPPIARE i nostri sforzi, per arrivare alla consegna (e alla pronuncia della Corte Costituzionale, in gennaio) con un viatico di tutto rispetto: la dimostrazione concreta che il popolo, le persone, la gente – indipendentemente dalle nostre illazioni – ha compreso e dice no allo SpaccaItalia, alla Secessione dei Ricchi, all’idea rapace e proprietaria di un mondo fatto a misura di chi ha mezzi da spendere per garantirsi diritti che la Carta ha individuato come universali, perché per loro stessa natura da garantirsi a tutti/e e a ciascuno/a.

Un’esperienza che ci sta insegnando moltissimo:

1) non è vero che l’estate è un momento non favorevole. Dagli stabilimenti balneari alle iniziative nelle grandi città; dalle sagre di paese ai concerti serali i banchetti hanno scandito l’estate più calda della storia, attraverso un gioioso slancio di partecipazione popolare: una ventata di positività in un periodo pieno di tristi incertezze.

2) la democrazia e la partecipazione fanno paura: il ministro Calderoli – davanti al rapido moltiplicarsi delle firme – ha sottolineato la facilità dell’operazione, progettando di ritoccare il quorum delle 500mila firme. Facile gettare discredito sulla spontanea adesione di tanti e tante, ignorando il sacrificio di quanti stanno trascorrendo l’estate nelle piazze e per le strade. Lo stesso ministro, in una lunga intervista, ha ribadito la possibile bocciatura del quesito referendario, basandosi su argomentazioni – il collegamento alla legge di Bilancio e il fatto che si tratterebbe di una legge costituzionalmente necessaria – che sono state confutate, tra gli altri, da Alessandra Algostino e Gaetano Azzariti. Del resto, lo stesso ministro degli Affari Regionali nel discorso notturno del 18 giugno alla Camera disse che la sua legge era solo procedurale, quindi senza connessione con gli equilibri di bilancio; che la sua legge non sia costituzionalmente necessaria è dimostrato dalla firme delle pre-Intese nel 2018.

3) si respira un’aria nuova: il valore aggiunto è l’unità di intenti, quella imprescindibile nei momenti importanti e gravi, nelle svolte della storia. Lo si sente nei discorsi della gente, nelle domande che ci vengono rivolte, nelle deduzioni immediate.

La posta in gioco è enorme. E’ per questo che plaudiamo ai ricorsi alla Corte Costituzionale che le regioni Sardegna e Puglia hanno fatto contro la legge 86 di Calderoli: un percorso parallelo e complementare rispetto a quello del referendum popolare, ai sensi dell’art. 127 della Carta. Una decisione che rappresenta una coerente conseguenza delle dichiarazioni che le due regioni (a presidenza M5S e PD) avevano fatto in primavera, durante l’iter del ddl Calderoli alla Camera. “La delega al Governo per la determinazione dei Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) è carente di principi e criteri direttivi. Viola le prerogative delle Regioni a statuto speciale, in particolare della Sardegna, e non rispetta le procedure previste dallo Statuto speciale della Sardegna per il trasferimento di funzioni e risorse e rischia di accentuare i divari territoriali e violare i principi di solidarietà e uguaglianza”. Per la Giunta Todde “questi vizi di costituzionalità ledano le competenze e l’autonomia della Regione Sardegna”.

Di tutta risposta il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, ha dichiarato: “Il Veneto pensa di essere assolutamente danneggiato dal fatto che qualcuno faccia ricorso contro una legge che permetterebbe a noi di avviare un progetto di Autonomia. E quindi ci presenteremo in Corte Costituzionale ad opporci al ricorso della Sardegna”. Dal canto suo, Calderoli promette una ripresa settembrina all’insegna degli accordi con le regioni che ne facciano richiesta sulle materie non Lep (e non solo).

La buona notizia potrebbe essere che i partiti dell’opposizione parlamentare ascoltano finalmente e veramente cittadine e cittadini. Il ricorso alla Corte costituzionale va in questa direzione; non altrettanto il quesito che le 5 regioni di centrosinistra intenderebbero presentare accanto a quello abrogativo: un blando ritocco alla legge Calderoli, che non rappresenterebbe una “ciambella di salvataggio” in caso di bocciatura del quesito abrogativo, ma uno sdoganamento dell’autonomia “buona” di bonacciniana memoria, cui speriamo Pd e M5S rinuncino prima che sia troppo tardi.