Uno smartphone o un watch per misurare i battiti del cuore, calorie bruciate, chilometri percorsi o quante vasche ho fatto. Controllare se la prestazione fisica di oggi è migliorata rispetto a ieri. Perché non è mai abbastanza quello che faccio per mantenermi in forma. Come afferma Caroline Crampton, autrice di A Body Made of Glass: A History of Hypochondria (Granta Books), “La cultura del wellness sta incoraggiando le persone a considerare la propria salute come un work in progress. Piuttosto che apprezzare le capacità di cui disponiamo, siamo spinti a migliorarci costantemente”. Una corsa senza fine che ha come rischio quella di diventare ossessionati dall’idea di benessere. Con quali altre conseguenze per il nostro equilibrio psichico? “Monitorare continuamente le nostre diverse funzioni fisiologiche e prestazioni fisiche, se da un lato ci può aiutare, per contro può spingerci verso comportamenti ansiosi o, peggio ancora, di tipo ossessivo-compulsivo che trasformano un’attenzione e cura di sé in una ossessione per sé”, spiega al FattoQuotidiano.it il professor Claudio Mencacci, copresidente Sinpf (Società italiana di neuropsicofarmacologia) e Direttore emerito di neuroscienze al Fatebenefratelli – Sacco di Milano.

Una tendenza che parte da lontano…
“Sì, nel tempo abbiamo visto svilupparsi due fenomeni sintomatici. Il primo è quello della vigoressia, la ricerca di una forma muscolare estrema, il vedersi sempre troppo poco muscolosi che porta a una sorta di ossessione per il fitness e una preoccupazione eccessiva del proprio corpo. Si è fatto poi strada un altro atteggiamento disfunzionale, l’ortoressia. Un disturbo che si esprime a tavola e che pone – anche qui in eccesso – l’attenzione al cibo sano. Rispetto alla bulimia o anoressia, non è in ballo la quantità di alimenti da consumare ma la loro qualità. Un obiettivo di per sé positivo ma che può diventare patologico se porta a comportamenti non equilibrati e consuma le energie interiori. E poi arriviamo alla novità di oggi, la tendenza ossessiva verso il benessere”.

Paura di ammalarsi

E all’ipotesi che questo atteggiamento nasconda o porti a ipocondria, alla paura costante di ammalarsi…
“Un’ipotesi che condivido e che nasce dalla tendenza a ricercare un perfezionismo a tutto tondo. Si tratta di un disturbo d’ansia per la salute personale. Recentemente è uscito uno studio che rilevava come gli ipocondriaci hanno un’aspettativa di vita inferiore ai non ipocondriaci di circa cinque anni, un dato non da poco”.

Come si può spiegare?
“L’ipocondria può caratterizzarsi come ‘paura di soffrire di qualcosa’. La conseguenza è che l’ipocondriaco può arrivare a evitare, paradossalmente, qualunque approfondimento e accertamento del suo stato di salute. Oppure, orientarsi a un uso eccessivo delle cure. Succede quindi che questa persona si esponga maggiormente a effetti collaterali e, sul fronte psichico, a stati depressivi”.

Sintomi preoccupanti

Quando un atteggiamento diventa eccessivo?
“Quando si comincia ad avere delle ossessioni che portano poi a comportamenti compulsivi. È come se costruissimo dentro di noi delle gabbie dalle quali non riusciamo più a uscire, diventando schiavi di una serie di comportamenti e scelte ‘obbligate’ che in questo caso sottendono un controllo totale della propria salute”.

Un’influenza su questi atteggiamenti la svolge anche il mercato della salute con input che spingono a ottenere sempre di più da se stessi e un corollario di prodotti da comprare per non restare indietro.
“È vero, c’è questo forte condizionamento. Negli ultimi anni abbiamo assistito a una tendenza positiva legata a un maggiore approfondimento delle persone sui fattori di salute. Ma come detto, c’è un rovescio della medaglia: il rischio della ricerca di un controllo totale di uno stato di benessere, ricorrendo in eccesso a tanti strumenti, come anche l’uso scriteriato di integratori. La vera sfida è trovare un equilibrio in mezzo ai ‘venti’ della società che ci condizionano”.

Lontani dagli eccessi

Come si fa a non cadere negli eccessi?
“La persona deve concedersi dei margini di libertà. Significa non essere troppo rigidi e fare ogni tanto qualche strappo alla regola. Ma c’è un elemento di fondo che dovremmo particolarmente considerare”.

Quale?
Coltivare gli affetti, innamorarsi, sentire e sperimentare gli ‘altri’. Tutte caratteristiche che ci distinguono come umani e non ci rendono dei robot. Oggi sappiamo che la più grande fonte di salute e benessere è il sentimento di felicità, su cui non possono fare nulla gli integratori o i dispositivi tecnologici”.

Insomma, per usare la sua metafora, dobbiamo uscire dalla gabbia dell’io.
“In modo più specifico, dobbiamo essere attenti alla nostra vita affettiva e ricordarci che non esistono solamente io e il mio corpo, ma io e l’altro, gli altri, noi. È su questo che devo spostare l’attenzione, non solo sulla mia salute personale”.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti