Al Sud del Paese ci sono già più pensionati che lavoratori attivi. A sostenerlo è la Cgia di Mestre, secondo la quale nel Mezzogiorno si pagano più pensioni che stipendi e nel giro di qualche anno il sorpasso è destinato a compiersi anche nel resto d’Italia. I calcoli dell’associazione artigiani fanno prevedere che entro il 2028 usciranno dal mercato del lavoro per raggiunti limiti di età 2,9 milioni di italiani, di cui 2,1 milioni sono attualmente occupati nelle regioni centro-settentrionali.

Dall’analisi del saldo tra il numero di occupati e le pensioni erogate nel 2022, la provincia più “squilibrata” d’Italia è Lecce: la differenza è pari a -97mila unità. Seguono Napoli con -92mila, Messina con -87mila, Reggio Calabria con -85mila e Palermo con -74mila unità.

D’altro canto nei giorni scorsi, dal palco del Meeting di Rimini, il presidente dell’Inps Gabriele Fava aveva sottolineato come “uno degli obiettivi dei prossimi anni per l’Inps sarà quello di comunicare e raggiungere le nuove generazioni, informando e creando maggiore consapevolezza rispetto al futuro previdenziale e all’obiettivo di costruire un ‘salvadanaiò. Allargare la base contributiva è fondamentale per la sostenibilità del sistema”.

Più incalzante il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, che dallo stesso palco ha sottolineato come il calo demografico in Ue “rischia di avere effetti negativi sulla tenuta dei sistemi pensionistici e sul sistema sanitario”, per questo servono anche “misure che favoriscano un afflusso di lavoratori stranieri regolari”.

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