Libri e Arte

“Nontiscordardimé” il romanzo delle conseguenze di un amore ad alto tasso erotico tra un “lui” professore di francese del sud e una “lei” borghese capitolina

di F. Q.
Per gentile concessione dell’editore, anticipiamo un brano del libro - 2/2

Per gentile concessione dell’editore, anticipiamo un brano del libro - 2/2

Lo stupore

Costanza aspettava Carmine. Si aggirava per le vie di Taviano, pensando a quanto povera di particolari fosse la vita di un paese piccolo e, in più, del sud. Chi vive qui, pensò, non può avere contezza, scintilla. Lei non avrebbe mai sopportato l’idea di nascere in un luogo così scarognato. Con forza stoica però la gente restava. Sembrava anche piuttosto felice. Certo Lecce, Otranto, Leuca, ma poi? Alcune case erano interessanti dal punto di vista architettonico: il barocco, tutti quei palazzi di regine nel deserto, tenuti male e dalle cui finestre si intravedeva la pretenziosità di lampadari così teatrali. Un particolare che poteva dirla lunga sulle contraddizioni di certi luoghi. I muri con queste crepe rampicanti fino ai terrazzi, i cornicioni sbrecciati, le inferriate arrugginite e poi i portoni emaciati dal tempo. In un cortile, collegato con un giardino rigoglioso, intravide balconi alti inondati da glicini e, più in là, una magnolia scenografica, monumentale. Ecco qual è il segreto di questa terra, si disse: lo stupore che genera all’improvviso un dettaglio, una visione, un’armonia selvatica, lo stato grezzo delle cose, e la bellezza che si immagina tanto bene. Non aveva a che fare con la maestosità, no, era quello stato in potenza che la faceva vibrare, quell’essere in maniera inconsueta, il desiderio di cambiare tutto ma poi, alla fine, di lasciare le cose così come stanno.

Stava pensando quando sbucò Carmine con la sua Renault 5.

L’abitazione di Carmine si trovava in una zona di campagna chiamata Trifana, a metà strada tra Taviano e Melissano. Si trattava di un’antica dimora di inizio Novecento, con un lungo viale alberato, tutta balaustre in pietra leccese. Costanza, a dire il vero, non si aspettava che Carmine potesse vivere in un posto simile. Forse per come si presentava, il suo aspetto al limite dell’accettabile, non trasandato ma démodé; quella sera, per esempio, indossava un’improbabile camicia color salmone. E poi la Renault 5: da quanto non ne vedeva una in giro? Lui ce l’aveva per rappresentazione, ci avrebbe giurato, per una forma di snobismo, per un atteggiamento, una visione delle cose, tipica vettura di chi legge Malraux, Sartre o Michaux. Sì, era una posa, una montatura.

Carmine parcheggiò la macchina vicino all’aiuola di pittospori. Aprì la portiera a Costanza e la accompagnò verso l’ingresso principale della tenuta. I muri erano occupati da edere rampicanti e la casa aveva un che di sentimentale, con quel bosco fitto e disordinato, affollato di pini, cipressi, salici piangenti. Ma c’era un albero che si imponeva per particolare incanto. A occhio, poteva superare gli otto metri. Carmine le spiegò che si trattava di una fitolacca dioica, con le sue radici nodose e il tronco tozzo, una creatura bellissima ma tossica, dalla linfa velenosa. Certe cose bisogna solo contemplarle e non toccarle, le intimò Carmine invitandola ad ammirare le sue amate margherite bianche. Tutto intorno era una festa di piante di ogni specie, cycas, palme Washington, tigli selvatici, ombrelli di foglie non classificati e, in fondo, un carrubo con più tronchi e una ramificazione traboccante. Circa un ettaro di terreno popolato dal rigoglio verde della natura, e poi erbe aromatiche, tantissime, timo, maggiorana, salvia, rosmarino. Carmine spezzò una foglia di basilico e gliela tese contro le narici. E mentre percorrevano la scalinata, Costanza si voltò di nuovo per ammirare lo scenario da una nuova altezza. Venne punta da una spina. Era un grusone, poggiato sul pilastro come un’arma bianca.

Varcata la porta, un’arredatrice di interni non poteva restare indifferente. I soffitti alti, le volte a stella, i divani in rattan fuori misura addossati a muri colorati, candele alla lavanda negli angoli più nascosti, l’illusione ottica delle cementine esagonali che erano come tappeti, diverse in ogni stanza, con motivi ora geometrici ora floreali. E una grande libreria che occupava una parete intera. La casa non aveva subìto grandi restauri, era rustica ma al tempo stesso sofisticata.

«Carmine, ma questo posto è meraviglioso!»

«È il mio rifugio, un vecchio casolare di famiglia che ho ristrutturato con tanti sacrifici. Accomodiamoci qui, Costanza».

Carmine stappò un verdeca fresco e la conoscenza ebbe inizio. Nel forno sfrigolava la tajeddha.

Fin qui tutto bene. La soupe à l’oignon è dietro l’angolo. Carmine l’ha preparata con meticolosa cura, per dare un tocco francese alla serata. La sua ricetta è ormai collaudata e, con il brodo di gallina, il successo è certo. Ha fatto appassire le cipolle nel burro per dieci minuti e aggiunto tre cucchiai di farina setacciata, mescolandola fino a farla assorbire completamente. Qualche mestolo di brodo, sale, e cottura a fuoco lento per un’ora, facendo attenzione ad aggiungere altro brodo, ogni volta che il composto si condensa troppo. In due ciotole ha riposto pezzi di pane tostato, versato la zuppa cospargendola di groviera e pepe nero e l’ha gratinata nel forno a duecentoventi gradi per pochi minuti. Eccola, la sua zuppa alle cipolle sta per fare il suo trionfale ingresso sulla tavola.

«Gradisci?»

«Più o meno. Ma poi perché?»

«Perché le cipolle?»

«Eh, perché?»

«Mi piacciono, tutto qui».

«Ti alleni a piangere, ho capito».

Ci fu un momento di imbarazzo. Proseguirono la cena tra confidenze e riflessioni, politica, letteratura, cin cin, hai detto cin cin, Carmine?, tra essere e non essere ma poi chi si è veramente, tu lo sai?, no, non lo so ma che importa, siamo qui, siamo in due, io e te, Costanza, beviamo, ridiamo, viviamo, non c’è altro da fare se non questo, sorridere, traballare, stare a guardarsi.

Carmine si alzò e le prese la mano. La trascinò verso il suo giardino segreto: un incantevole aranceto appena illuminato, nascosto in uno spazio retrostante alla villa. Costanza si ritrovò stesa per terra, non lo sapeva nemmeno lei come, aveva perso qualche passaggio, cosa stava succedendo? Sentiva le note di Ladyfingers di Herb Alpert provenire da qualche parte, forse aveva esagerato con il vino, le girava la testa su quei cuscini bianchi e bordeaux, i capelli scomposti, il cielo stellato, le fronde sinuose degli alberi, l’odore di gelsomino, due sagome in penombra, le bocche che si toccano, l’umidità, gli uccelli notturni, l’alcol, le prime carezze.

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