Se è vero che il calcio è, fra tutti gli sport, il più vicino alla cultura e ai sentimenti degli italiani, la crisi tremenda che sta vivendo costituisce un evidente sintomo dell’eclissi di ogni spirito e identità nazionale, proprio negli anni dell’avvento della destra impresentabile di Meloni & C. fintamente sovranista e in realtà continuatrice fedele di Draghi e altri, nel segno della totale subordinazione al capitale.

La crisi del calcio italiano si vede anche negli scarsi risultati conseguiti sul piano internazionale, ma che a ben vedere costituiscono solo la conseguenza di una situazione di decadenza anche e soprattutto morale, caratterizzata per l’appunto dalla costante genuflessione agli imperativi e alle esigenze del peggiore capitalismo.

Molteplici sono i sintomi di questa decadenza, dalla svendita di club gloriosi e con storie più che secolari al migliore compratore in contanti, in genere proveniente dall’estero, all’infiltrazione della criminalità organizzata in varie tifoserie, alla penetrazione di sponsor come i gestori internazionali delle scommesse, oramai incontenibile e priva di ostacoli, dopo che in un modo o nell’altro sono stati eliminati gli argini che il Decreto Dignità adottato al tempo del Conte bis aveva provato a mettere.

Tale situazione malsana rappresenta del resto un riflesso di una concezione malata dello sport, che trova il suo precipitato nel tifo spesso violento, che consente a varie migliaia di poveracci oppressi e sfruttati di sfogare le proprie frustrazioni ululando contro l’arbitro o i tifosi opposti. Tale concezione malata non costituisce certamente un’esclusiva prerogativa italiana, dato che da sempre, almeno a partire dal panem et circenses di imperiale memoria, lo sport spettacolarizzato costituisce uno strumento cui il potere ricorre per nascondere le proprie magagne e una potente arma di distrazione di massa.

Per altri versi occorre riconoscere che lo sport rappresenta anche un luogo dove si scontrano interessi di classe opposti e che hanno visto emergere anche nell’ambito delle recenti Olimpiadi di Parigi, come argomentato da Michela Arricale in un bell’articolo su Altrenotizie, le legittime aspirazioni della maggioranza dell’umanità a contestare e ribaltare il tradizionale dominio dei Paesi che hanno costruito sul colonialismo la propria transitoria supremazia.

Anche sul piano nazionale emergono peraltro delle contrapposizioni dialettiche e delle alternative. A tale proposito segnalo che, nell’ambito della stimolante cornice di Festolina, la Festa di Ottolina TV animata dal vulcanico Giuliano Marrucci che si è svolta a Pisa dal 4 al 7 luglio, ho potuto seguire, tra i tanti dedicati a temi fondamentali di politica internazionale, anche uno, di estremo interesse, sulle esperienze svolte dalle squadre di calcio popolare. Si tratta di esperienze ancora limitate ma che cominciano a coprire una parte significativa del territorio nazionale, da Nord a Sud, dimostrando anche come l’unità nazionale, contro ogni pestifera autonomia differenziata, si può costruire su pratiche e aspirazioni comuni.

Queste squadre, composte da giovani che a volte si dedicano anche ad altre importanti attività fisiche, dal ciclismo alle arti marziali, esprimono protagonismo atletico dal basso che può fungere anche da stimolo a iniziative su tanti altri piani, dalla difesa dell’ambiente e dei beni comuni, alla lotta per la pace a quella contro il fascismo.

Il mondo del calcio è del resto da sempre stato ricco di protagonisti esemplari anche dal punto di vista dell’impegno politico e civile. Basti citare Diego Armando Maradona, che era grande amico e ammiratore di Fidel Castro e che fu promotore delle proteste di tutta l’America Latina contro l’ALCA, il mercato comune che ne avrebbe determinati la totale subordinazione agli interessi statunitensi. O anche le eroiche gesta dei calciatori vittime dei fascisti recentemente rievocati da un articolo di Massimo Novelli sul Fatto, come Bruno Neri, Silvio Corbari, Vittorio Staccione e Armando Frigo.

Sopravvissero invece fortunatamente combattenti come Giacomo Losi, poi capitano della Roma o Giuseppe Peruchetti detto Pantera Nera, portiere di Brescia, Ambrosiana-Inter e Juventus. Altre vicende esemplari di calciatori impegnati contro fascismo, nazismo è razzismo vengono raccontate da Alberto Dandolo e Daniele Ognibene, Palla al piede. Storie di calcio e di libertà.

Attingendo a queste importanti radici storiche, quello del calcio popolare costituisce un mondo per nulla omologato alla destra e al capitale e che, superata l’attuale fase di triste obnubilamento il popolo italiano dovrà riscoprire e rilanciare, nel segno di un calcio e di uno sport che siano espressione di vitalità antifascista e non di triste agonia del capitalismo finanziario che sta distruggendo il pianeta.

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