“Abbiamo dovuto chiedere una rettifica. Titolare, come ha fatto qualche giorno fa un quotidiano, che noi ecoattivisti ‘appariamo elitari e che smetteremo con i blitz plateali che ci danneggiano’, senza evidenziare con chiarezza che si trattava della posizione Ultima Generazione austriaca, ci ha lasciato veramente perplessi. Per noi è stato un concreto esempio di disinformazione. Il clickbait sta uccidendo la buona informazione”. E’ arrivata la risposta di Ultima Generazione Italia all’intervista alla leader dell’omonimo movimento austriaco Marina Hagen, in cui quest’ultima affermava la decisione un cambio di passo e di modalità di protestare, considerate, per l’Austria, inefficaci quelle fatte finora. Ma il punto di vista di Ultima Generazione Italia è poi arrivato forte e chiaro: “È un peccato che l’umiltà di chi fa un passo indietro venga riportata, come è stato fatto dal quotidiano, come debolezza”, spiega l’attivista Miriam Falco. “In ogni caso ogni paese ha le sue specificità, ma noi di Ultima Generazione Italia non ci fermeremo, le azioni andranno avanti. L’Italia non è l’Austria”.

Sapevate della scelta di Ultima Generazione Austria?
Sì, ne avevamo conoscenza – anche se ancora non sappiamo se ci sarà un nuovo movimento, come è stato annunciato, o nuove forme di proteste, siamo curiosi – e cercheremo di stare vicini e di aiutare in questo processo di cambiamento i nostri colleghi austriaci. Purtroppo, la repressione verso i comuni cittadini che scelgono di alzare la testa contro l’ingiustizia climatica sta aumentando. Nell’articolo, come spiega la leader austriaca, non si afferma la volontà di gettare la spugna, ma l’affermazione per cui, come si legge nel comunicato ufficiale, “abbiamo manifestato in ogni modo. Non vediamo alcuna prospettiva di successo. Riconosciamo che l’Austria vuole rimanere nell’ignoranza fossile e quindi accetta di essere in parte responsabile della morte di miliardi di persone. La società è pigra o ignorante ed ha fallito”: un’affermazione con cui si può essere d’accordo o meno, ma che afferma chiaramente quale sia il problema.

Nell’intervista, però, l’attivista austriaca ammette un possibile un possibile eccesso di elitismo e di anticapitalismo.
Noi puntiamo a tutte le categorie sociali e chiediamo soluzioni concrete e immediate. Non c’è tempo per fare ideologismo. Storicamente può capitare che la scintilla dei processi di cambiamento si sviluppi all’interno di certe categorie sociali ma è un fuoco che sta prendendo piede e non siamo fatti di paglia. Puntiamo ad asfaltatori, magazzinieri, operai, agricoltori, perché quando si parla di diritto a una vita degna non ci sono status sociali che tengano. Le alluvioni, le malattie, gli incendi, non hanno preferenze, siamo tutti sulla stessa barca e dobbiamo iniziare a remare insieme.

Sempre la leader austriaca afferma che i fondi rimasti serviranno a pagare sanzioni e multe, anche per evitare la detenzione. Anche la vostra situazione è drammatica da questo punto di vista?
Strategicamente, sin dall’inizio, abbiamo considerato la possibilità di andare in carcere come un sacrificio efficace. La situazione è drammatica, non da questo punto di vista ma da un altro. Noi non chiediamo di uscirne con la fedina penale pulita, ma chiediamo giuste condanne e pene proporzionali al reato commesso. Con il decreto “anti-Gandhi” del governo è l’opposto. Più le proteste funzionano, più si cerca di metterle a tacere. Non vi preoccupa tutto questo?

Qual è bilancio di Ultima Generazione Italia oggi? Credete ancora nell’efficacia delle vostre azioni? Continuerete così o cambierete qualcosa?
Le nostre azioni sono state efficaci e ci hanno portato a essere un movimento che in poco più di due anni è riuscito a fare pressione sul governo, ad entrare nella cultura collettiva italiana ed a portare l’annosa questione della crisi climatica e sociale con maggior forza nel dibattito pubblico. Abbiamo raccolto 20.000 euro in meno di venti giorni e questo dimostra il supporto di cui godiamo. Questo non vuol dire però che la sfida sia vinta. C’è la necessità di continuare e ovviamente nel percorso non si può escludere trasformazioni e cambi di strategia, se necessari. Va ricordato che non c’è un identica strategia univoca sempre valida e funzionante, ogni paese ha le proprie specificità e su queste deve essere costruita e, strada facendo, eventualmente riadattata l’ azione dei movimenti.

Come giudicate la società e la politica italiana rispetto alla consapevolezza della crisi climatica?
La consapevolezza della crisi climatica è aumentata moltissimo, lo dicono i sondaggi. Ora c’è da fare un passo in più. Le persone devono rendersi conto di dover essere protagoniste in questo cambiamento, perché chi ci governa non ha nessuna intenzione di proteggerci. Stiamo già pagando a nostre spese la crisi climatica (auto, case, terreni distrutti, carovita ecc.) e non c’è nessun ammortizzatore sociale ad aiutarci. Per questo continuiamo a chiedere un Fondo di Riparazione di 20 miliardi di euro. I soldi ci sono, pensare che ne vogliono spendere 16 di miliardi per il ponte sullo stretto. I soldi ci sono ma non li vogliono spendere per noi. È sempre la solita noiosissima storia.

Continueremo dunque a vedere sit in che bloccano strade, monumenti colorati di vernice lavabile, manifestazioni contro le grandi opere?
Non possiamo permetterci di lasciar perdere, la crisi sociale ed il collasso climatico investiranno tutti noi e non si fermeranno certo da soli. Continua ad essere necessario portare avanti un processo di cambiamento che ci permetta di affrontare le criticità del presente ed ancora di più quelle future, per questo non possiamo ancora fermarci. Non solo dunque vogliamo assolutamente continuare a progettare e realizzare azioni di disobbedienza civile, ma sappiamo che queste sono azioni fondamentali per mantenere l’attenzione alta sulla crisi eco-climatica e sulla salvaguardia dei pilastri della nostra democrazia.

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