di Fiore Isabella

Quando si pensò alla razionalizzazione della rete scolastica italiana, più volgarmente conosciuta come accorpamento di istituti, né la politica, né gli esperti suggeritori delle misure restrittive, tantomeno la sentenza n. 223 del 2023 della Corte costituzionale, ebbero la premura di spiegare come fosse possibile, in presenza di numeri insopportabili, garantire l’agibilità di un Collegio Docenti nell’esercizio corretto della sua funzione.

Chiedere, con tutto il rispetto, ad una Corte Costituzionale di andare oltre i codici e i cavilli giuridici e di respirare l’aria della pedagogia e della didattica, è una pretesa assurda. Ma chi di scuola si nutriva aveva in Parlamento, nelle sedi sindacali e nel Paese l’obbligo di mettere al primo posto la pedagogia e, in funzione della pedagogia, la mannaia della contabilità. Inoltre, ed è uno scandalo di dimensioni cosmiche, chi ha deciso, e tutt’ora decide, di far stringere la cinghia alla scuola ha già deciso e deciderà l’aumento al 2% del prodotto interno lordo a sostegno della produzione delle armi.

Nei giorni scorsi sono circolate note stampa, pubblicate sui quotidiani locali, estremamente critiche sulle ultime misure di razionalizzazione della rete scolastica che hanno costretto, e stanno costringendo, i dirigenti scolastici di Lamezia Terme e del Lametino a chiedere al sindaco della Città della piana locali (sale consiliari, teatri ed altro ancora) idonei, per ampiezza e rispetto delle norme sulla sicurezza, allo svolgimento dei collegi di 180 docenti e oltre.

Qualcuno potrebbe suggerire la soluzione, che il Covid ci ha indicato in una fase tragica della nostra storia, degli incontri a distanza, omettendo di dire che il collegio docenti non è assimilabile ad un convegno tematico dove gli esperti parlano e la platea, a distanza, ascolta infilando qualche like o introducendo freddi commenti. Il Collegio docenti è l’organo più importante della scuola perché ne organizza la vita, consente ai docenti di confrontarsi su temi specifici del progetto educativo e permette il voto a scrutinio segreto quando si tratta di eleggere funzioni delicate scegliendo un collega per rappresentarle, anziché un altro.

Temo che si sia arrivati alla resa conti di una razionalizzazione della rete scolastica che, senza voler banalizzare, costringe un Dirigente Scolastico ad invitare ad una festa 180 persone senza avere lo spazio per ospitarle. E di questo dovrà farsi carico un sindaco incapace di comprendere le esigenze del suo territorio, osservante acritico e ossequioso dei parametri dettati dall’alto.

In generale, io penso, che non si tratti di incidenti di percorso ma di vere e proprie falle che affondano le radici nella politica degli accorpamenti sia dal punto di vista pedagogico che logistico e organizzativo. Una politica figlia dell’illusione che l’autonomia scolastica, trasformando tanti bravi presidi e direttori didattici in dirigenti d’azienda, avrebbe reso la scuola più moderna e più efficiente. Nulla di tutto ciò!

Piuttosto è emerso a Lamezia Terme il fenomeno, comune nel nostro Paese ed in particolare nel Mezzogiorno, dell’accentramento dei servizi scolastici nei centri urbani con chiusura delle scuole delle periferie. Una sorta di corsa al risparmio contabile che aveva come giustificazione, diciamo con qualche seria valenza pedagogica, l’eliminazione delle pluriclassi, valutate didatticamente inopportune. Fu anche, a mio modesto avviso, l’avvio dell’impoverimento di quei territori, l’esodo dei cittadini residenti prevalentemente verso i centri storici degradati, l’annientamento delle aree coltivabili e il conseguente degrado idrogeologico.

In poche parole: il riallontanamento delle istituzioni dai cittadini, l’accentramento dei servizi in spazi già congestionati e l’aumento a dismisura dei cittadini fruitori. Morale della favola: le scuole scaldano i motori ma non ci sono le piste per farle correre.

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