La Fondazione Narges Mohammadi ha diffuso un appello, sottoscritto da numerose personalità e organizzazioni non governative, per denunciare la situazione nella prigione di Evin a Teheran e sollecitare la scarcerazione della Nobel per la pace 2023 e delle altre detenute politiche iraniane.

Questo il testo dell’appello:

“Le prigioniere politiche iraniane stanno subendo una repressione brutale nella sezione femminile del carcere di Evin. Come attiviste e attivisti per i diritti umani, siamo solidali con le donne iraniane e chiediamo un’indagine internazionale indipendente.

In quanto attiviste e attivisti per i diritti umani che hanno a cuore l’uguaglianza di genere e lo stato di diritto, nutriamo profondo allarme per le notizie che stanno arrivando dalla sezione femminile del carcere di Evin. Settanta donne di idee, affiliazioni e generazioni diverse sono attualmente prigioniere politiche nella più famigerata delle carceri iraniane. Vi si trovano ingiustamente, solo per aver lottato per la libertà e per i diritti umani in Iran.

Da lì, ci hanno raccontato che il 6 agosto che le forze di sicurezza e le guardie penitenziarie hanno fatto irruzione nella loro sezione con una violenza brutale. Non abbiamo motivi per dubitare del loro racconto e per questo noi e le nostre organizzazioni siamo costantemente solidali verso queste donne insieme alle attiviste, agli attivisti e alle persone comuni che accompagnano senza sosta la loro causa.

Secondo le informazioni ricevute, doverosamente verificate e confermate da diversi organi di stampa indipendenti, numerose prigioniere politiche sono state aggredite e picchiate dalle guardie penitenziarie e dagli agenti di sicurezza perché protestavano per l’impiccagione di Reza (Gholamreza) Rasaei, avvenuta quella mattina.

Rasaei, che aveva preso parte alle proteste del movimento “Donna Vita Libertà”, era stato messo a morte in segreto, all’alba del 6 agosto, senza che la famiglia o l’avvocato fossero stati informati. La sua esecuzione era stata preceduta dalle torture che aveva subito per estorcergli una confessione forzata.

Questa azione repressiva senza precedenti è scattata mentre le donne erano riunite in modo pacifico nel cortile del carcere ed esercitavano il loro diritto alla libertà d’espressione cantando slogan per l’abolizione della pena di morte e la sospensione immediata delle esecuzioni.

Le prigioniere avevano già manifestato in modo analogo, a volte di loro iniziativa e a volte per contribuire ad altre mobilitazioni, per chiedere l’annullamento delle condanne a morte della loro compagna di prigionia Pakhshan Azizi – una giornalista iraniana di origini curde – e di altre tre donne: l’attivista per i diritti del lavoro Sharifeh Mohammadi, l’attivista per i diritti delle donne Varisheh Moradi e Nassim Gholam Simiari.

A causa della gravità dell’aggressione e delle ferite inflitte, diverse prigioniere hanno perso conoscenza e altre sono state steccate dopo un esame sommario da parte del medico del carcere, senza ricevere cure adeguate. Anche nei casi più gravi, le autorità hanno impedito il trasferimento delle prigioniere negli ospedali, privandole delle cure mediche di cui avevano urgentemente bisogno.

Appena ripresa conoscenza, con la consueta determinazione e risolutezza, le prigioniere hanno immediatamente dichiarato l’intenzione di presentare denuncia contro i loro aggressori, per cercare di far sì che nessuna violenza rimanesse impunita.

Nel contesto dell’aumento della repressione interna contro attiviste e attivisti per i diritti umani e contro dissidenti politiche e politici, esprimiamo allarme per l’aumento delle esecuzioni che hanno raggiunto un drammatico picco il 7 agosto, con 29 esecuzioni in una sola giornata, 26 delle quali collettivamente nella prigione Gesel Hasar della città di Karaj.

Lontano dagli sguardi dell’opinione pubblica e mentre l’attenzione della stampa si concentra sulla narrazione bellica e sulle crescenti tensioni in Medio Oriente, la Repubblica islamica iraniana continua la sua guerra principale, lanciata decenni fa: quella in grande stile contro chi le si oppone e contro le donne.

In quanto attiviste e attivisti per i diritti umani, esprimiamo piena solidarietà nei confronti delle donne che mettono a rischio la loro vita nella lotta per la pace, la democrazia e lo stato di diritto in Iran. Ora più che mai le prigioniere del carcere di Evin si ergono come bastioni della resistenza nella lotta per la libertà. Queste donne, ingiustamente e illegalmente detenute come prigioniere politiche, meritano la nostra ammirazione ed è davvero urgente mobilitarci per loro.

Pertanto, in solidarietà con tutte le donne e gli uomini che continuano a rischiare la loro vita per lottare in favore dello stato di diritto, della pace e della democrazia in Iran, noi e le nostre organizzazioni chiediamo:

l’immediata cessazione dell’uso della pena di morte, che è una punizione inumana e degradante, coerentemente col nostro impegno per l’abolizione universale della pena capitale;

la scarcerazione di tutte le prigioniere e di tutti i prigionieri, arbitrariamente in carcere per motivi politici e di coscienza e la fine dei procedimenti giudiziari che violano i diritti alla difesa e a un processo equo;

– l’immediata attuazione, da parte dello stato iraniano, di misure che garantiscano l’incolumità fisica e psicologica delle persone detenute in tutto il paese, soprattutto nella sezione femminile del carcere di Evin;

– l’avvio di un’indagine indipendente internazionale per conoscere la verità sugli atti di violenza commessi contro le prigioniere politiche del carcere di Evin, delle cui conclusioni le autorità iraniane dovranno doverosamente tenere conto.”

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