Sven Goran Eriksson è morto. Svedese, allenatore gentiluomo, gelido solo all’apparenza: aveva 76 anni ed era malato da tempo. Il mondo del calcio è in lutto per la perdita di un uomo che ne ha segnato la storia. Nei giorni scorsi Eriksson aveva pubblicato un video con un commovente messaggio di addio: “Grazie di tutto, è stato fantastico. Prendetevi cura della vita e sorridete”. Queste parole sono state il suo ultimo lascito. Come spiega un breve comunicato, Eriksson è morto questa mattina di lunedì 26 agosto nella sua casa, circondato dai familiari: la figlia Lina, il figlio Johan con la moglie Amana e la nipote Sky, il padre Sven, la fidanzata Yanisette con il figlio Alcides, il fratello Lars-Erik con la moglie Jumnong. “La famiglia chiede rispetto per il desiderio di piangere in privato. Le condoglianze e i saluti possono essere lasciati sul sito web www.svengoraneriksson.com“, si legge nella nota.
Lo scudetto con la Lazio e la carriera di un allenatore gentiluomo
In Italia, Eriksson ha allenato Roma, Fiorentina, Sampdoria e Lazio. Sulla panchina biancoceleste ha vinto lo storico scudetto nella stagione 1999/2000, la sua impresa più grande. Nel suo palmares ci sono anche 4 Coppe Italia (Roma, Samp e due con la Lazio) e altre 2 Supercoppe vinte sempre in biancoceleste. Oltre alla Supercoppa europea 1999. Ha vinto anche in Svezia con il Göteborg (campionato e Coppa Uefa) e in Portogallo, dove ha conquistato tre campionati con il Benfica. Dopo l’esperienza italiana, è stato anche il primo allenatore straniero a guidare la Nazionale inglese, portandola fino ai quarti di finale del Mondiale 2002 e del Mondiale 2006. È rimasto sulla panchina dei Tre Leoni dal 2001 al 2006.
I risultati di Eriksson non raccontano però la potenza della sua figura. È stato e resta uno dei più grandi esempi di calciatore “modesto” a diventare eccellente tecnico. Colto, gentiluomo, capace di parlare 5 lingue e di stringere legami unici con i suoi calciatori. A 30 anni già allenatore in Svezia, poi l’affermazione in Portogallo con il Benfica. A 36 anni è sulla panchina della Roma, dove sfiora lo scudetto nell’annata 1985/86. Dopo il biennio a Firenze e una nuova parentesi al Benfica, il ritorno in Italia a Genova: porta la Samp al terzo posto in classifica e ad alzare la Coppa Italia. Poi le stagioni alla guida della Lazio di Cragnotti: sei trofei e quello storico scudetto vinto all’ultima giornata dopo un testa a testa con la Juventus. L’esperienza da ct prima in Inghilterra, poi anche in Messico e in Costa d’Avorio. Ha allenato anche il Manchester City e il Leicester, è stato da tecnico o dirigente pure in Cina, Thailandia, Emirati Arabi e Filippine.
L’annuncio della malattia e l’omaggio dei “suoi” club
“La mia malattia è una condanna, ma io cerco di non pensarci e di andare avanti nel miglior modo possibile. Ora devo combattere il più a lungo possibile. La vita è bellissima“. Così, sette mesi fa, Sven Goran Eriksson aveva rivelato in un’intervista di avere un cancro terminale al pancreas che gli avrebbe consentito di vivere all’incirca un anno. Dopo quell’annuncio, l’ex allenatore ha fatto visita ai club che lo hanno accolto nel corso della sua carriera: dalla Sampdoria alla Lazio, per ricevere il calore della sua gente. Non solo in Italia: uno dei suoi sogni è sempre stato quello di allenare – anche solo per una partita – il Liverpool. Detto fatto: i Reds, lo hanno invitato nella partita di beneficienza contro l’Ajax riservandogli un accoglienza da brividi. Poi, lo scorso 21 agosto, ha pubblicato il suo commovente messaggio d’addio, pronunciato nel documentario Sven di Amazon Prime Video.