Alcuni anni fa, quando avevo un profilo Facebook, pubblicai un aneddoto con l’intenzione di far conoscere la plastica realtà della società palermitana degli anni 60, in relazione alla convivenza coi mafiosi sul territorio. L’assunto pubblicato scatenò, da parte dei censori seriali, una ridda di malevoli commenti. Ma gli stessi commentatori, si guardarono bene dal citare gli ultimi paragrafi del racconto, laddove facevo emergere che nonostante la mia personale conoscenza sin da bambino dei Greco, non mi rifiutai di compiere – da poliziotto – la perquisizione domiciliare – insieme a Ninni Cassarà e altri colleghi – nell’abitazione di Michele Greco “u Papa”, al fine di catturarlo.
L’episodio che sto per narrare accadde all’inizio degli anni 60. Mia sorella, che abitava a Torino, aveva in animo di ritornare un giorno a Palermo e quindi chiese a mio padre di cercare una casa indipendente da acquistare. Il caso volle che proprio nelle vicinanze della nostra casa natia fosse in vendita una bella casa che mia sorella già conosceva. La casa era occupata da un affittuario nato e cresciuto nella nostra borgata, Acqua dei Corsari. Mio padre si recò dal locatore chiedendogli se fosse interessato ad acquistare lui l’immobile. Avuta risposta negativa, mio padre contattò il proprietario e dapprima con una stretta di mano – com’era in uso a quei tempi – suggellò i preliminari d’acquisto, versando successivamente la caparra.
Il locatore nel frattempo ebbe un ripensamento e chiese a mio padre di annullare il contratto, invitandolo a farsi restituire la caparra. Naturalmente mio padre si oppose alle reiterate richieste e costui, pur di far valere il supposto diritto di prelazione, si rivolse direttamente a “u Papa”. Pertanto obbligò mio padre anche se a malincuore a recarsi insieme a lui nella casa del Greco a Croceverde Giardina. Faccio notare che sia io che mio padre, per effetto della nostra piccola attività di trasporto di agrumi e da rapporti di mia nonna materna con parenti abitanti nell’agro di Ciaculli, conoscevamo le famiglie dei Greco. Il giorno dell’appuntamento, entrambi furono a cospetto di Michele Greco che, ascoltando i motivi del contendere stabilì che mio padre s’era comportato rispettosamente, seguendo le regole del buon vivere, e quindi, potette rogitare.
In questo racconto, in tanti ci videro un comportamento censurabile su mio padre: a loro dire non avrebbe dovuto accettare l’incontro. Potrei essere d’accordo con loro se l’aneddoto si fosse verificato all’inizio degli anni 80, quando le indagini conclamarono l’appartenenza di Michele Greco a Cosa nostra. Ma sottolineo, che sino al famoso rapporto dei 161 redatto da Ninni Cassarà, e che costò la vita a Rocco Chinnici, Michele Greco, era persino titolare di porto d’armi e quindi ritenuta dalla questura di Palermo persona integerrima.
Del resto proprio negli anni 60/70, Michele “u Papa” e il fratello Salvatore “u Senatore” erano considerati persone per bene e rispettabili: entrambi erano ossequiati con numerose visite alla Favarella, da parte della borghesia palermitana, politici, e prelati. In tanti, ancora oggi, quando “raccontano” i Greco, compiono l’errore di non diversificare i Greco di Croceverde Giardina, con quelli di Ciaculli. Infatti, tra Croceverde e Ciaculli, negli anni passati era scoppiata una mini guerra, tra Giuseppe Greco “piddu u tenenti”, padre di “u Papa” e di “u Senatore”, coi lontani parenti, Salvatore Greco “chicchiteddu” e Salvatore Greco “l’ingegnere”, entrambi di Ciaculli (borgata limitrofa a Croceverde Giardina) che causò diversi morti.
Conobbi altri Greco che nulla avevano a che fare con la mafia. Tra le due fazioni dei Greco fu raggiunta la pace con la mediazione del boss Antonino Cottone di Villabate, che era rientrato dagli Usa, ove aveva trovato riparo per sfuggire alla pressione del prefetto di ferro Mori. In epoca antecedente e successiva all’acquisto della casa, ebbi modo di conoscere tanti mafiosi compreso il citato Cottone: la lista è lunga. E quando fui assegnato alla 5° sezione investigativa di Cassarà, misi a disposizione dell’ufficio le mie pregresse conoscenze del territorio e dei mafiosi. Tuttavia, per onorare un giuramento fatto a mio padre, mi astenni di svolgere indagini su due fratelli mafiosi, che avevo conosciuto da picciriddu, loro padre mi tenne in braccio: dissi a Ninni Cassarà di non affidarmi le indagini, spiegandone i motivi. Le indagini furono condotte da altri colleghi, tant’è che i due fratelli figurarono tra gli imputati nel maxiprocesso.
Uno dei due fratelli negli anni 90, quand’ero alla DIA, lo vidi cadavere ucciso in una via di Palermo, mentre l’altro l’incontrai dopo anni al cimitero di Palermo: la tomba dei suoi cari e quella dei miei genitori erano vicine. Seppi poi che poco dopo il nostro casuale incontro cessò di vivere per morte naturale.