di Luigi Casanova, presidente di Mountain Wilderness Italia

Siamo ormai prossimi all’evento sportivo di Milano-Cortina 2026 e risalta l’assenza di un confronto pubblico ampio sulle Olimpiadi Culturali, pur essendo queste previste nel dossier di candidatura 2019. Fin dall’inizio Pierre de Coubertin volle unire il muscolo allo spirito, fare convergere le virtù fisiche e morali; si costruiva l’uomo ideale, arte e cultura erano corollario delle gare sportive. Da allora, tra alterne vicende, si è comunque sempre tentato di associare l’evento sportivo al mondo della cultura.

Milano-Cortina 2026 sarà capace di costruire sviluppo regionale, connettere territori, includere spazi urbani in contesti ampi che coinvolgano le montagne? Sapremo uscire dal grande evento più ricchi non solo nella promozione degli sport, ma anche offrendo finalmente risposta alle richieste di partecipazione, alla ricerca di condivisione? Solo un grande investimento nelle Olimpiadi culturali ci può aiutare in questo percorso.

Su questo tema il dossier italiano delle Olimpiadi invernali del 2026 risulta alquanto fragile. Nell’insieme pone due obiettivi strategici: promuovere lo sport come motore di alta qualità della vita e della salute, consolidare il turismo anche nelle terre alte. Più volte si accenna al tema dello spopolamento della montagna, ma non vi si trova analisi su perché questo accada, su cosa significhi tale migrazione specie di giovani, ed il potenziamento della monocultura turistica viene indicato come l’unica economia in grado di aggredire questa reale criticità; in tutto il percorso non si coglie un’attenzione, un legame fra le aree urbanizzate della pianura e la montagna. La preoccupazione prevalente sembra quella dell’accessibilità, di come ridurre i tempi di avvicinamento dalla città verso le aree ricreative offerte dalla montagna: una sommatoria di strade, cemento, asfalto, senza soffermarsi sul viaggio, sull’avvicinamento fatto anche di studio e di riflessione.

A poco più di 500 giorni dall’evento, i territori non sono stati coinvolti se non in eventi pochissimo partecipati e pubblicizzati, ricchi solo di retorica e di marketing. Non sono stati presentati nemmeno i progetti infrastrutturali, né quelli sportivi né quelli riferiti alla mobilità. Il programma dell’Olimpiade culturale, qualora esista, non è stato reso noto nei territori e nemmeno al mondo dell’informazione; non si conoscono eventuali programmi di coinvolgimento dei siti monumentali, artistici, storici, naturali, nella promozione olimpica; non si è dato vita ad un percorso con le associazioni, con il volontariato (Trento è capitale europea del volontariato 2024), con i centri di ricerca e gli enti istituzionali nella costruzione di una programmazione culturale di ampio respiro; i portali informativi sono scarni, presentano una carrellata di frasi generiche e retoriche, senza specificare nulla di concreto, si rimane sul vago. Cultura è ben altro.

Dopo il 2026 cosa rimarrà delle Olimpiadi nella città di Milano e nelle vallate alpine? Nel contesto della programmazione ad oggi riscontrabile, si ha la netta percezione che la dimensione economico-speculativa abbia sopraffatto quella ambientale e sociale. Troppe opere sono affidate a Project financing: l’operatore privato decide la qualità delle opere, le loro funzioni, e ne vincola la gestione per decenni. Il percorso di ogni pianificazione nella gestione dei territori dovrebbe essere inverso: in primo luogo si deve decidere quale sviluppo, quali opere, dove e come portare tutto questo sul territorio. Spetta all’ente pubblico definire la destinazione delle aree, gli eventuali progetti e chi li dovrà gestire, decidendo le funzioni delle infrastrutture ed individuandone le legacy.

Occorre ragionare su tempi più lunghi, con l’apertura di un luogo fisso di confronto fra le città e le montagne, coinvolgendo anche le vicine realtà transalpine non solo sulla tutela della biodiversità: ci sono esperienze culturali, diventate anche opportunità economiche nell’intero arco alpino, che andrebbero esportate adattandole sui diversi territori. Investire sui musei d’arte, archeologici, naturalistici ed identitari, pubblici e privati; coinvolgere i centri universitari (sociologia, antropologia, attività economiche, scienze naturali, forestali, agrarie ed altro ancora); approfondire ed affrontare le emergenze idriche, valorizzare la selvicoltura rispettosa dell’ambiente e l’agricoltura di montagna, diffondere le comunità energetiche con ricaduta di valore aggiunto sui territori; risolvere le criticità sociali nelle vallate turistiche e lo spopolamento nelle montagne attraverso i servizi e i trasporti che danno possibilità di restare, ritornare o scegliere di andare a vivere stabilmente in montagna.

Mountain Wilderness Italia ritiene che solo l’Olimpiade culturale possa portare risposta alle problematiche sopra accennate: è venuto il momento di non leggere un insieme di eventi frammentati, ma di lavorare verso l’integrazione fra il momento sportivo e quello culturale, per portare all’insieme sociale un reale percorso di progresso.

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