Mark Zuckerberg, notoriamente indigente e privo delle risorse indispensabili per tutelarsi in sede legale, si è fatto coraggio. Dopo quasi tre anni, forse consigliato da uno di quegli avvocati la cui “prima consulenza è gratuita”, ha deciso di rompere gli indugi e di denunciare coram populo l’Amministrazione Biden. Lo staff di “Sleepy Joe”, e chissà quanti grand commis asserviti a Mister President, avrebbero fatto pesanti pressioni sul proprietario di Facebook, Instagram e WhatsApp per assicurarsi l’esercizio di una pesante censura su contenuti relativi alla drammatica pandemia di Coronavirus e all’inchiesta sul figlio del presidente, Hunter Biden.

Il poveretto, padrone solo di due tra le più frequentate piattaforme social e del più diffuso sistema di messaggistica istantanea, ha ammesso di aver disciplinatamente provveduto ad “obbedir tacendo” (restando silente almeno per una trentina di mesi), oscurando prima e facendo sparire poi oltre 20 milioni di contenuti grazie al provvidenziale meccanismo di moderazione di post e commenti.

Volgendo al termine la Presidenza Biden e levandosi un vento che sembra sospingere Donald Trump verso un ritorno alla Casa Bianca, il giovane Mark (come il giovane Werther di goethiana memoria) ha deciso di affidare allo strumento epistolare i propri tormenti e sofferenze conseguenti l’aver ottemperato alle ingiunzioni del regime che sta per concludere il mandato. Zuckerberg ha inoltrato una lettera alla Commissione Giustizia della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, guidata da un deputato repubblicano, affidando alla missiva l’oneroso compito di recapitare il suo profondo rammarico per aver acconsentito alle sollecitazioni a matrice istituzionale.

Al pari di Saulo sulla via di Damasco, si dichiara pentito e dice che oggi non ripeterebbe le operazioni cui la sua holding ha dato puntuale, ripetuta e reiterata attuazione. Arriva a scomodare persino il “senno del poi”, a comprova dell’innocenza alla base delle scelte aziendali.
Zuckerberg sottolinea la sua indipendenza dalla politica e quindi solo i maligni interpretano questa sua mossa come una emulazione di uno storico gesto del condottiero barbaro Brenno. Qualcuno dice che, senza anticipare il fatidico “Vae Victis”, si sia avvicinato alla bilancia che segna due punti percentuali a favore di Kamala Harris e abbia poggiato la sua daga sull’altro piatto per modificare l’equilibrio elettorale.

Niente paura. Le solite cattiverie. Ha aspettato tre anni perché non trovava l’ispirazione, perché non sapeva da che parte cominciare, perché aveva paura che qualcuno si offendesse, perché forse non era il caso…

Ma poi, come l’architetto Rambaldo Melandri (interpretato da Gastone Moschin nel trittico di “Amici Miei”) si è detto “Cos’è il Genio? È fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione”. E così ha preso carta e penna e ha scritto…

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Successivo

Il caso Durov, le parole di Zuckerberg, Spotify in allarme: perché è in gioco la libertà d’informarsi

next