Cinema

L’innocenza di Kore-eda Hirokazu è un cantico poetico con l’ultima a colonna sonora di Ryuichi Sakamoto

di Davide Turrini
L’innocenza di Kore-eda Hirokazu è un cantico poetico con l’ultima a colonna sonora di Ryuichi Sakamoto

Qualcuno, forse, l’ha già scritto: il regista giapponese Kore-eda Hirokazu sa filmare con inaudita naturalezza i bambini. L’innocenza (in originale Monster) ne è l’ennesima inoppugnabile prova. Anche perché il film è un cantico poetico sullo sguardo, e il punto di vista, che attraversa tematiche come il bullismo e l’omofobia tra bimbetti delle elementari, altrimenti trattati con barboso pedagogismo.

C’è un incendio giù in mezzo alla città di notte. Brucia un localaccio di signorine poco di buono frequentato, a quel che si dice, dal giovane maestro Hori (Nagayama Heita). Lassù, sul terrazzo la giovane vedova e lavandaia Saori (Hando Sakura) osserva le fiamme assieme al figlio decenne Minato (Kurokawa Soya). Il bimbetto è taciturno, con qualche lieve ferita sul viso, sfuggente e incupito. Mamma scopre presto che lo spleen del figliolo sembra derivare proprio dal comportamento non ortodosso del maestro Hori: a quanto pare non proprio educato nell’usare le mani. Apparentemente L’innocenza si ferma qui. E tutti vissero infelici e scontenti.

Kore-eda, per la prima volta in trent’anni di carriera alle prese con il mettere in scena una sceneggiatura non propria – Sakamoto Yuji, palma d’oro a Cannes 2023 -, invece opta per una sottile, costante, elegante stratificazione di tre linee temporali e narrative. Non si tratta di veri e propri stacchi formalisti in soggettive, ma slittamenti graduali e compenetranti tra le versioni possibili della stessa storia (perché Minato si comporta così?) tra mamma, maestro e bimbo. Chi è colpevole e chi è vittima in mezzo a un vortice di emotività trattenuta che sembra non avere mai una verità definitiva?

La sfida autoriale è tutta nell’attesa di nuovi circolari tasselli; nella ricostruzione dell’angolazione dei dettagli; nella bucolica, libertaria, fantasiosa fuga di due bambini in un bosco nascosto, gocciolante pioggia che sa di favola esoterica. L’innocenza, in fondo, è un teorema classico, rashomoniano, su come basta spostare la macchina da presa di pochi centimetri per intravedere ogni volta una storia differente: la disperazione di una madre, la vitaccia piena di pregiudizi per un povero cristo, l’impossibilità per un bimbo maschio di provare un’attrazione oltre quella del gioco per un altro maschio. Ad impreziosire la confezione e il senso dell’opera c’è anche l’ultima colonna sonora di Ryuichi Sakamoto (morto poche settimane prima dell’anteprima a Cannes del film). In sala in Italia grazie a Bim e Lucky Red.

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