Non sono molte le parole da dire quando si resta a bocca asciutta Quando le parole che si spendono sono sempre le stesse, si consumano.

Non era un suicidio quello di Nicoleta Rotaru. L’ex marito Erik Zorzi è stato arrestato a marzo con l’accusa di averla uccisa la notte del 2 agosto del 2023 eppoi di averne simulato il suicidio nel bagno. Nel cellulare, in mano agli inquirenti per settimane, oltre a mille audio, c’era una registrazione, la cronaca angosciante degli ultimi minuti di Nicoleta, rumori e parole che allontanano l’ipotesi del suicidio. Suscita una grande amarezza pensare che una donna arrivi a registrare tutto ciò che avviene in casa, fino a documentare il suo femminicidio, perché teme di non essere creduta quando subisce violenza. E solleva molte perplessità leggere che le avvocate di Nicoleta Rotaru abbiano dovuto insistere perché la Procura analizzasse il contenuto del cellulare. I segnali di una situazione di rischio c’erano tutti.

Sette interventi delle forze dell’ordine allertate dai vicini di casa preoccupati per le urla e gli insulti, sette verbali dal 16 aprile 2021 al 21 aprile 2023, abbastanza per l’ipotesi di un reato di maltrattamenti procedibile d’ufficio e più che sufficienti per far partire un Codice Rosso invitando la vittima a essere sentita per sommarie informazioni entro tre giorni. No, non era necessaria una denuncia formale che Nicoleta Rotaru, peraltro, si era decisa a fare ma quando si era recata dai carabinieri, era stata invitata a tornare il giorno dopo. Eppoi c’era un uomo, Erik Zorzi, già denunciato vent’anni prima da una ragazza, che si rifiutava di lasciare l’abitazione assegnata dal giudice all’ex moglie.

Tutto è avvenuto secondo le dinamiche di una relazione fatta di prevaricazione, controllo. L’escalation della violenza era prevedibile ed è avvenuta proprio quando Nicoleta Rotaru conquistava una via d’uscita grazie ad un contratto di lavoro a tempo indeterminato che le avrebbe dato l’indipendenza economica e nel momento in cui, chiudeva qualunque possibilità di riapertura di un legame perché aveva una nuova relazione.

Leggendo la ricostruzione dei fatti sulla stampa, non si può fare a meno di pensare a quelle morti o a quelle richieste di aiuto inascoltate che si sono seguite negli anni in Italia. Alcune sono costate allo Stato la condanna della Corte Europea dei diritti umani. Caso Talpis, caso De Giorgi, caso Landi, caso M.S , caso I.V per “inerzia negli interventi”. La rete nazionale dei Centri antiviolenza, D.i.Re, ha chiesto a Martina Semenzato, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, di rendere operative le sollecitazioni urgenti, inviate dal GREVIO allo Stato italiano che già nel 2020 sollecitava “le autorità italiane affinché considerassero l’ipotesi di introdurre un sistema, come ad esempio un meccanismo di revisione critica dell’omicidio, per analizzare tutti i casi di omicidio di donne basate sul genere – femminicidio, al fine di prevenirli in futuro, tutelando la sicurezza delle donne e obbligando a rispondere sia gli autori delle violenze, sia le varie organizzazioni che sono entrate in contatto con le parti”.

“È fondamentale comprendere i punti di debolezza del sistema e capire come possa accadere che -nonostante i molteplici contatti con le forze dell’ordine e con l’autorità giudiziaria – ha dichiarato Antonella Veltri presidente D.i.Re – non si sia saputa riconoscere una situazione ad alto rischio e attivare il sistema di protezione, anche previsto dalla Convenzione di Istanbul ed è altrettanto importante individuare le responsabilità, per arrivare nel minor tempo possibile, alla correzione sistemica degli errori”.

Troppe volte ci troviamo a prendere atto di errori, lacune e smagliature attraverso cui la vita delle donne passa e rimane esposta al rischio di violenze efferate che nei casi più gravi ne determinano la morte. Sono vite che potrebbero essere salvate se ci fosse la giusta formazione sulla violenza maschile nelle relazioni di intimità e una maggiore attenzione alla valutazione del rischio ma, soprattutto, se ci fosse la volontà di smantellare pregiudizi e stereotipi sulle donne che resistono al tempo.

Resistono, nonostante tutto.

@nadiesdaa

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Suicidio assistito, la Asl respinge di nuovo la richiesta di Martina Oppelli. Che dice: “Basita, non voglio subire una tortura di Stato”

next
Articolo Successivo

Fine vita, l’Asl di Trieste denunciata per tortura e rifiuto di atti d’ufficio da Martina Oppelli. L’architetta: “È un incubo”

next