Dopo quattro giorni di fermo e dopo le contestazioni del capo di imputazione, le autorità francesi hanno rilasciato Pavel Durov, il fondatore di Telegram arrestato la sera del 24 agosto, non appena sceso dal suo aereo privato sulla pista dell’aeroporto parigino di Le Bourget. Al top manager – nato in Russia e cittadino francese – sono state notificate le accuse preliminari per aver consentito presunte attività criminali sulla sua app di messaggistica. I magistrati – come comunicato dal procuratore di Parigi Laure Beccuau – hanno contestato le accuse preliminari, gli hanno ordinato di pagare una cauzione di 5 milioni di euro e di presentarsi in una stazione di polizia due volte alla settimana. L’indagato non può lasciare la Francia in attesa del processo. Si tratta quindi di una libertà condizionata.

A Durov viene contestata la mancata condivisione di informazioni o documenti con gli investigatori quando richiesto dalla legge: la piattaforma viene utilizzata per scambio di materiale pedopornografico e per il traffico di droga. Il fermo di Durov scadeva nella serata di mercoledì 28 agosto e il manager era stato trasferito nel primo pomeriggio al tribunale di Parigi. La custodia cautelare poteva durare infatti fino a un massimo di 96 ore dall’arresto. Sono dodici i capi di imputazione di cui deve rispondere, per altrettanti crimini di cui – secondo gli inquirenti – si sarebbe reso complice perché reiterati sulla piattaforma da lui creata e gestita. Durov è indagato anche per comportamenti violenti nei confronti di uno dei suoi figli, secondo quanto rivelato da fonti investigative all’agenzia France Presse.

Nel frattempo il Wall Street Journal ha rivelato che Durov incontrò il presidente francese Emmanuel Macron nel 2018 e in quell’occasione gli venne chiesto di spostare la sede legale del suo social media a Parigi. Ma lui rifiutò. Fonti contattate dal giornale americano hanno anche raccontato che nel 2017 il patron di Telegram fu al centro di un’operazione di spionaggio organizzata dai servizi segreti francesi in collaborazione con quelli degli Emirati Arabi Uniti, dov’è la sede sociale dell’app, denominata ‘Purple Music’. Un’iniziativa nata dalle preoccupazioni sorte in base all’utilizzo di Telegram fatto da militanti islamici, trafficanti di droga e criminali informatici. Dalle informazioni emerse finora Durov – in possesso di cittadinanza russa, francese e degli Eau – avrebbe mantenuto strette relazioni anche con la Russia e fonti ucraine hanno parlato di un suo recente incontro con il presidente russo Vladimir Putin. La testata Politico, citando un documento amministrativo francese, ha invece svelato in realtà le autorità francesi avevano emesso mandati di arresto non solo per lui, ma anche per il fratello Nikolai Durov, lo scorso marzo. L’indagine sotto copertura da parte francese su Telegram, pertanto, ha avuto inizio mesi prima di quanto si sapesse in precedenza.

Noto per la sua riservatezza, Durov, 39 anni, avrebbe accumulato finora un patrimonio stimato in oltre 15 miliardi di dollari. L’arresto ha suscitato indignazione in Russia, con alcuni funzionari governativi che lo hanno definito politicamente motivato e prova del doppio standard dell’Occidente sulla libertà di parola. Il caso del fermo ha provocato anche la protesta di Mosca perché nel 2018 le stesse autorità russe avevano tentato di bloccare l’app Telegram, ma non ci erano riuscite. In Iran, dove Telegram è ampiamente utilizzato nonostante sia ufficialmente vietato l’arresto di Durov aveva suscitato i commenti della Guida suprema della Repubblica islamica. L’ayatollah Ali Khamenei aveva espresso un velato elogio alla Francia per la sua “severità” nei confronti di coloro che “violano la vostra governance” di Internet.

Il presidente francese Emmanuel Macron lunedì aveva dichiarato lunedì che l’arresto di Durov non è una mossa politica, ma fa parte di un’indagine indipendente. L’inquilino dell’Elisero aveva scritto su X che il suo Paese “è profondamente impegnato” nella libertà di espressione, ma “le libertà sono sostenute all’interno di un quadro giuridico, sia sui social media che nella vita reale, per proteggere i cittadini e rispettare i loro diritti fondamentali”.

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