Il livello di aggressività e superficialità che ha caratterizzato il periodo pandemico, non solo in Italia, dovrebbe essere un monito per tutti noi e portarci a riflettere su ciò che un medico intuitivo e generoso come Giuseppe De Donno ha dovuto subire. Quel clima ha portato molti medici al silenzio, ha allontanato dalla ricerca scientifica ricercatori eccezionali, oltre a contribuire al tragico suicidio di un medico competente e a un significativo aumento della mortalità per Covid-19.

I virologi, i giornalisti e i vari esperti che hanno gestito la campagna mediatica in quei mesi portano – io credo – una responsabilità enorme, soprattutto ora che sta emergendo con sempre maggiore chiarezza che si sarebbero dovute prestare attenzioni più serie a intuizioni che si sono rivelate corrette. Dovrebbe almeno essere riconosciuto che la comunicazione pandemica, secondo cui “la cura non esiste”, è tra i maggiori responsabili dell’aumento della mortalità per Covid-19.

A ottobre 2023, una delle più prestigiose riviste scientifiche in ambito biomedico, il New England Journal of Medicine, ha pubblicato i risultati di un importante studio clinico che ha esaminato l’efficacia dell’immunizzazione tramite plasma di pazienti convalescenti in pazienti affetti da sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) indotta da Covid-19. In questo trial, 475 pazienti adulti sottoposti a ventilazione meccanica invasiva da meno di 5 giorni sono stati inclusi nel gruppo randomizzato. I risultati hanno mostrato una mortalità significativamente ridotta nel gruppo trattato con plasma, con un’efficacia maggiore nei pazienti trattati entro 48 ore dall’inizio della ventilazione meccanica.

Non si tratta di un singolo studio isolato. Infatti, a luglio di quest’anno è stata condotta una meta-analisi che ha riassunto tutti gli studi pubblicati, confermando l’efficacia di questa terapia. Sono stati inclusi 27 studi clinici randomizzati, con un totale di 18.877 pazienti ospedalizzati. I risultati hanno evidenziato che la somministrazione di plasma iperimmune entro 7 giorni dall’insorgenza dei sintomi riduce significativamente il rischio di mortalità del 24%.

Tra l’inizio di aprile 2020 e la fine di agosto 2020, quasi 100.000 pazienti ospedalizzati negli Stati Uniti con infezioni da SARS-CoV-2 sono stati trattati con plasma convalescente nell’ambito di un Programma di Accesso Esteso (EAP) autorizzato dalla FDA e gestito presso la Mayo Clinic. Questo programma è stato utilizzato da circa 2.200 ospedali statunitensi, dai centri medici accademici agli ospedali rurali più piccoli, facilitando il trattamento di una popolazione di pazienti etnicamente e socio-economicamente diversificata. Entro sei settimane dall’inizio del programma, i primi segnali di sicurezza sono stati rilevati in 5.000 destinatari di plasma convalescente, confermati successivamente da un’analisi su 20.000 pazienti. Entro metà estate 2020, erano già emerse prove solide che dimostravano come il plasma ad alto titolo, somministrato nelle prime fasi dell’ospedalizzazione, potesse ridurre la mortalità fino a un terzo.

È vero che nel 2021 diversi studi clinici randomizzati sul plasma convalescente hanno riportato risultati generalmente negativi, poiché il plasma veniva spesso somministrato tardivamente durante l’ospedalizzazione e con bassi titoli anticorpali. Tuttavia, è emerso che alcuni sottogruppi di pazienti che avevano ricevuto plasma ad alto titolo nelle prime fasi dell’ospedalizzazione mostravano buoni risultati. Inoltre, il plasma, specialmente quello proveniente da donatori vaccinati e precedentemente infettati, ha dimostrato un valore particolare nei pazienti immunocompromessi, per i quali l’efficacia dei monoclonali era ridotta e la capacità di generare anticorpi limitata.

Nonostante questi segnali promettenti, l’aumento della disponibilità di antivirali, anticorpi monoclonali e vaccini ha portato a una riduzione significativa dell’uso del plasma, con un calo dal 40% al 10% dei pazienti ospedalizzati trattati con plasma tra l’autunno 2020 e la primavera 2021. È indubbio che questo declino possa aver contribuito alla perdita di vite che avrebbero potuto essere salvate.

Al di là delle tentazioni complottiste, sorge il dubbio su quanto le leggi di mercato abbiano influenzato questa vicenda. Va però ricordato che vi era un problema di raccolta e conservazione del plasma, rendendolo non una soluzione valida per tutti i casi. Questo, però, vale per ogni trattamento, vaccini inclusi: sarebbe stato necessario valutare caso per caso la soluzione migliore. Purtroppo, ciò che è accaduto è che De Donno è stato bersaglio di una delle peggiori campagne d’odio di quel periodo, anche a causa di strumentalizzazioni politiche insensate.

Peraltro la ricerca scientifica suggerisce che il plasma iperimmune potrebbe rappresentare un’opzione terapeutica promettente per nuovi virus emergenti o varianti di virus esistenti. Studi in corso stanno valutando il suo potenziale contro altre infezioni virali emergenti, esplorando anche l’uso del plasma in combinazione con altre terapie antivirali. Grazie alla sua versatilità, il plasma iperimmune potrebbe essere utile non solo come trattamento, ma anche come misura profilattica, rappresentando una strategia preziosa nelle prime fasi di future pandemie o epidemie virali.

Come ho scritto altrove, l’idea che la guarigione potesse venire dalle persone che avevano incontrato il virus, in un momento in cui si temeva il contatto con infetti e medici, sembrava una metafora di speranza. Tuttavia, in quel tempo la strategia della paura era più diffusa e si è rivelata efficace nel reprimere ogni dissenso e silenziare ogni dubbio, tanto da continuare a prevalere nelle nuove emergenze.

Ci tengo a concludere esprimendo affetto e stima per Giuseppe De Donno, che una volta scrisse: “Insomma, ho fatto come un nobile napoletano di tanto tempo fa che un bel giorno fece spargere la voce della sua morte. Voleva vedere chi gli volesse bene”. Siamo in tanti a volerti bene. Di questo puoi esserne certo.

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