Molto dipenderà dalle tempistiche, dalle modalità e dalle conseguenze materiali dell’attacco. Ma la vasta operazione militare condotta da centinaia di soldati israeliani in Cisgiordania rischia di diventare la cellula impazzita che darà il via alla metastasi del conflitto tra Israele e Hamas fuori dalla striscia di Gaza. Mentre nell’enclave palestinese si continua a morire sotto le bombe di Tel Aviv, portare lo scontro con i gruppi palestinesi in West Bank significa fargli varcare i confini di quell’enorme acquario di disperazione che è oggi la Striscia di Gaza, isolata e affamata per volere del governo israeliano. Spargere il seme della guerra in Cisgiordania rappresenta un rischio ancora più alto: il conflitto potrebbe diventare incontrollabile e coinvolgere direttamente altri attori regionali.

Per adesso non è possibile dire se questa operazione, la più importante tra quelle condotte dalle Forze di Difesa Israeliane (Idf) in Cisgiordania negli ultimi anni, rappresenti solo l’inizio di una più vasta campagna militare per raggiungere l’obiettivo dichiarato dal governo Netanyahu alla vigilia dell’invasione di Gaza: sradicare Hamas. Le dichiarazioni del ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, suonano però come propedeutiche a un’operazione vasta, che non si concluderà in poche ore: “Dobbiamo affrontare la minaccia del terrorismo allo stesso modo in cui affrontiamo l’infrastruttura del terrorismo a Gaza – ha scritto il capo della diplomazia di Tel Aviv dopo l’inizio dell’operazione -, anche con lo sgombero temporaneo degli abitanti palestinesi e qualsiasi misura sia necessaria. È una guerra in tutti i sensi e dobbiamo vincerla”.

Una guerra, dunque, iniziata a Gaza, roccaforte di Hamas che si è assunta la responsabilità degli attacchi del 7 ottobre 2023, ma che dovrà continuare anche nel resto dei Territori Occupati, dove però i gruppi presenti sono di più, hanno un’organizzazione che li vede distribuiti su un territorio ben più ampio, all’interno del quale vivono illegalmente anche circa 700mila coloni, e che non rappresenta un’area chiusa, sigillata, preclusa al resto del mondo come la Striscia, ma che è incastonata in un territorio condiviso con altri importanti, e tutt’altro che disinteressati, attori regionali. Anche in questo senso devono essere lette le parole, ad esempio, del ministro degli Esteri della Giordania, Paese custode dei luoghi sacri di Gerusalemme, Ayman Safadi: “L’espansione della guerra di Israele contro i palestinesi nella Cisgiordania occupata è una pericolosa escalation che deve essere fermata. Esortiamo nuovamente il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, l’Ue, gli Usa e tutti gli altri membri della comunità internazionale ad agire con fermezza e immediatamente per porre fine a questa aggressione. La regione e la sua sicurezza non devono rimanere ostaggio del radicalismo di questo governo israeliano. Il diritto internazionale deve essere applicato”. Le Nazioni Unite, dal canto loro, hanno già affermato che l’operazione “viola il diritto internazionale e rischia di infiammare ulteriormente una situazione già esplosiva”.

Affrontare la minaccia del terrorismo come a Gaza, però, sembra voler dire che la portata dell’operazione sarà importante e, probabilmente, prolungata nel tempo. Così, mentre si contano già almeno 10 morti, resta da capire come reagirà la popolazione locale e soprattutto come decideranno di comportarsi i gruppi palestinesi presenti in West Bank. Non solo i miliziani di Hamas organizzati su tutto il territorio, ma anche quelli del Jihad Islamico, di nuovi gruppi nati per volontà di giovani radicali, come la Tana dei Leoni di Jenin, e persino del braccio armato di Fatah, le Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, che ha già fatto sapere di aver preso parte ai combattimenti.

La presenza di così tanti soggetti contribuisce ad alimentare un’escalation che può però crescere ancora di più, in particolar modo a causa di altri due fattori: la presenza degli attori regionali vicini alla Cisgiordania e gli insediamenti illegali israeliani. Se Gaza è, come detto, una striscia di terra che vive un isolamento perenne, a diversi gradi di intensità a seconda della volontà soprattutto israeliana, la Cisgiordania è un territorio ben più ampio, che condivide un ampia parte dei suoi confini anche con la Giordania e che ha poco distanti altri due attori tutt’altro che disinteressati come Siria e Libano. Sono quest’ultimi, infatti, i Paesi dove la presenza dell’Iran è più radicata e questa vicinanza favorisce i collegamenti, le comunicazioni e il rifornimento di armamenti da parte della Repubblica Islamica.

L’ultimo fattore, non in ordine di importanza, da tenere in considerazione è quello che riguarda la presenza dei coloni israeliani in West Bank. Insediatisi illegalmente da decenni, si tratta della fetta di popolazione con le tendenze più radicali, che rivendica il diritto al controllo su tutta la Palestina, che aspira alla cacciata totale della popolazione palestinese e che con quest’ultimo governo ha aumentato il proprio grado di aggressività, con quotidiani attacchi armati contro la popolazione locale, in alcuni casi protetti direttamente dall’esercito israeliano che ne garantisce l’impunità. Un messaggio di guerra aperta come quello lanciato da Katz potrebbe stimolare ulteriormente la loro aggressività, facendo crescere il numero di episodi di violenza nei confronti dei civili palestinesi. Il rovescio della medaglia li rende, però, anche un bersaglio privilegiato. Se Tel Aviv decidesse di andare allo scontro militare con i gruppi armati presenti in West Bank, i coloni diventerebbero un obiettivo a portata di mano.

X: @GianniRosini

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