A cento anni dalla nascita l’Italia ha deciso di ricordare Libero Grassi con un francobollo e chissà quante lettere così affrancate passeranno per l’aeroporto di Malpensa che negli stessi giorni veniva intitolato alla memoria di Berlusconi. La contrapposizione simbolica non potrebbe essere più chiara e plastica, ma proprio la mancanza di contraddizione pubblicamente posta e percepita non fa che contribuire alla corruzione culturale del nostro Paese, a fare impallidire la nostra democrazia.

Libero Grassi nasce il 19 luglio del 1924 e viene chiamato così in omaggio a Giacomo Matteotti “Libero” per definizione, pochi giorni prima sequestrato, torturato ed ucciso. Anche la data del 19 luglio, evoca in noi che siamo ancora vivi quell’altro 19 luglio, di soltanto un anno successivo a quello in cui fu assassinato Grassi: la Strage di Via D’Amelio. Il destino scritto nei numeri si direbbe.

Libero Grassi è stato un imprenditore che ha difeso strenuamente la dignità e la libertà del suo lavoro dalla prepotenza mafiosa proprio perché era profondamente antifascista e politicamente ingaggiato. “Proprio perché” non “ed anche”: come si può dire della nostra Costituzione che è il più importante manifesto anti mafioso, come lo ha definito don Ciotti fondatore di Libera, “proprio perché” è una Costituzione antifascista. Mafia e fascismo sono due facce della stessa medaglia culturale e dunque non deve stupire che lo siano anche i loro opposti.

Perché la contraddizione tra la memoria di Libero Grassi e quella di Berlusconi non potrebbe essere più chiara e plastica? Perché Grassi viene assassinato da Cosa Nostra il 29 agosto di un 1991 in cui Riina si stava ancora “giocando i denti” per non venire disarcionato dalla storia, proprio perché aveva rifiutato di pagare la protezione mafiosa a chi con una mano lo minacciava e con l’altra gli offriva la (illusoria) via d’uscita. Peggio: aveva rifiutato pubblicamente con tanto di interviste TV e lettere sui giornali nelle quali ribadiva con mite fermezza che non avrebbe mai pagato la mafia.

Berlusconi? Ecco, l’esatto contrario. E’ Cassazione che Berlusconi preferì pagare per stare tranquillo e che pagò tanto, per decenni e che pagò proprio la Cosa Nostra dei Riina e dei Bagarella negli anni in cui questi facevano strage di servitori dello Stato e di cittadini con la schiena diritta.

Ma in questo Paese non sembra che venga colta come un valore civile la irriducibile contrapposizione tra queste due memorie. La “pacificazione” nazionale che tanto trapunta il discorso pubblico italiano dal secondo dopoguerra in avanti, che abbia a che fare con i giovani morti di Salò a loro modo patrioti, col Duce che ha fatto anche cose buone, coi terroristi rossi prodotto necessitato dalla reazionaria strategia della tensione, che abbia a che fare con i tangentisti della prima Repubblica vittime di un colpo di Stato giudiziario o con chi preferì la convivenza con la mafia al principio di legalità… sembra che abbia a che fare più con una rassicurante confusione irresponsabile che con la capacità di ricapitolare il passato per guardare al futuro, suturando le ferite.

L’irresponsabilità genera mostri: la corruzione, l’astensionismo, l’indifferentismo che tanto disgustava Gobetti, Gramsci, Calamandrei e Pasolini. Nella confusione irresponsabile le ferite non rimarginano, marciscono sotto le bende e producono cancrene mortali per la democrazia. Non stupisca poi se l’Italia è prima nelle classifiche mondiali per abuso di psicofarmaci e di gioco d’azzardo. Nella “notte in cui tutte le vacche sono nere” è difficile fondare quei doveri inderogabili di solidarietà sociale pretesi dalla nostra Costituzione.

Come potrà mai risolvere queste contraddizioni il vate della nuova “educazione civica” il ministro Valditara: cosa vuol dire difendere la Patria? Battersi perché ognuno sia libero dal bisogno e dalla paura o affannarsi perché i propri affari e la propria famiglia prevalgano ad ogni costo?
O Dio o Mammona… O Grassi o Berlusconi: lo Stato decida chi commemorare. Ma commemorarli entrambi è schizofrenico. Un po’ come stare al governo della Repubblica nata dall’antifascismo e poi finanziare il “memoriale” di Acca Larenzia.

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