Viviamo in un’epoca dominata dai giganti tecnologici e dai loro leader, ormai figure sempre più centrali nella vita pubblica e politica del mondo intero. Tra questi nuovi imperatori digitali, due emergono come simbolo del contrasto profondo tra integrità e compromesso. Sono Pavel Durov, fondatore di VKontakte e Telegram, e Mark Zuckerberg, il volto di Facebook e Meta. La loro storia è quella di chi è disposto a sacrificare tutto per i propri principi e chi, invece, cede al potere per mantenere il proprio status quo.

Pavel Durov, noto per aver fondato VKontakte, il “Facebook russo”, si trovò a un bivio nel 2014 quando le pressioni del governo russo divennero insostenibili. Rifiutandosi di cedere al controllo del Cremlino Durov prese una decisione coraggiosa: lasciare la Russia e abbandonare la sua creazione, pur di non compromettere la libertà degli utenti della sua piattaforma​. Questo gesto di ribellione fu solo un atto di protesta contro l’autoritarismo e anche un inno ai principi di privacy che poi lo avrebbero portato a fondare Telegram.

In netto contrasto abbiamo Mark Zuckerberg che in una recente audizione al Congresso ha ammesso con rammarico di aver ceduto alle pressioni del governo americano durante la pandemia di Covid-19. Zuckerberg ha confessato di aver oscurato contenuti su Facebook, su sollecitazione della Casa Bianca, nonostante sentisse che tali interferenze fossero “sbagliate”. Questo atto di sottomissione, sebbene mascherato da scuse pubbliche, scatta una fotografia implacabile della capacità dei social media americani di resistere al potere.

Le scuse di Mark Zuckerberg arrivano inoltre con un certo tempismo. L’abbandono alla corsa presidenziale di Joe Biden, e il subentro di Kamala Harris, hanno evidenziato l’instabilità democratica nelle attuali elezioni. In una recente intervista, lo stesso Zuckerberg si è lasciato scappare che la scena di Donald Trump insanguinato, con la bandiera a stelle e strisce dietro e il pugno alzato è una delle scene più “badass” che abbia mai visto. Il sentore è che Mark abbia capito quale forza politica vincerà – e a loro strizza l’occhio.

Nel frattempo invece Durov è stato arrestato in Francia, accusato di non collaborare con le indagini su attività illecite sulla sua piattaforma, e la sua situazione ha scatenato un’ondata di solidarietà senza precedenti in Russia, unendo oppositori del governo e sostenitori del Cremlino in un appello per la sua liberazione. Questo evento sottolinea quanto Telegram sia potenzialmente diventato un simbolo di resistenza contro il controllo statale, tanto da essere difeso persino dai suoi avversari politici.

Nessuna nega i lati oscuri di Telegram. Qualunque adolescente sa bene che è su questa applicazione che avvengono la maggior parte dei traffici di droga, la condivisione agevole di pornografia spinta e in generale azioni di stampo criminale. Il desiderio nobile di creare una piattaforma di comunicazione privata, protetta dalle pressioni dei governi, ha generato un effetto collaterale, che è quello di fornire a coloro che vivono contro le regole degli stati un giocattolo in cui facilitare l’attività criminali senza temere ripercussioni.

Ma ad oggi qualunque piattaforma social rivela problematiche. La pedofilia dilaga su Instagram, le truffe online a pubblici più maturi imperversano su Facebook ed X (all’epoca Twitter) è arena di battaglia ormai da anni. Ad oggi nessuna piattaforma di comunicazione social, o messaggistica istantanea, ha davvero trovato il modo di estirpare del tutto il male. Dopotutto, il digitale è una proiezione del mondo fisico. E così come il mondo fisico non ha saputo portare a zero il tasso di criminalità, stesso accade per queste App.

Il tema fondamentale è che Mark Zuckerberg, al contrario di Pavel Durov, sembra essersi perso nella giungla del compromesso, accontentando un’amministrazione dietro l’altra, piuttosto che difendere fermamente la libertà di espressione sulla sua piattaforma. Il suo pentimento tardivo, sebbene apprezzabile, arriva quando il danno è ormai fatto: la fiducia del pubblico è stata erosa, e la credibilità di Facebook come paladino della libertà di espressione è stata gravemente danneggiata.

Mark Zuckerberg non è il demonio e Pavel Durov non è un paladino della libertà. Ci sono livelli di informazioni a cui la collettività non potrà arrivare. Quello che però può essere giudicato sono gli intenti iniziali, la coerenza nel modo in cui questi intenti vengono protratti nel tempo e la capacità di difenderli quando le cose si mettono male. In un mondo dominato sempre di più dalla tecnologia – in cui il potere politico sembra arrivare dopo – è cruciale affinare lo spirito critico e imparare a distinguere chi tenta di salvaguardare la propria integrità e chi cede al lato oscuro del compromesso.

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