Prudente. Poco disponibile a fornire dettagli sulle sue politiche da (possibile) presidente. Indecisa su come gestire l’eredità di Joe Biden. Così è apparsa su CNN Kamala Harris, che con il vice Tim Walz ha dato la sua prima intervista a un grande media nazionale da quando è diventata candidata dei democratici. Si è trattato di 27 minuti segnati soprattutto dal tentativo di proporsi come candidata di un’America nuova, che vuole girar pagina rispetto al decennio appena trascorso di scontri, divisioni, tensioni. È mancata una più chiara definizione del programma economico che Harris vuole realizzare – e questa resta forse la debolezza più significativa della sua candidatura. E non c’è stata alcuna volontà di sottolineare il carattere storico della sua corsa – la prima donna nera e asiatica a cercare di entrare alla Casa Bianca. L’unica vera novità è stata alla fine l’annuncio che Harris intende nominare un repubblicano nella sua amministrazione. Implacabile, al termine dell’intervista, è arrivato il verdetto di Donald Trump, affidato al suo Truth Social: “Noioso!!!”
Fin dall’inizio dell’intervista, condotta senza particolare piglio da Dana Bash, Harris ha cercato di proporsi come la leader esperta e affidabile, capace di dare agli americani ciò di cui in questo momento hanno più bisogno: “voltare pagina”. Sono tornati, nelle parole della candidata, alcuni degli slogan che si sono sentiti con più frequenza durante la Convention di Chicago. Tra questi, “a new way forward”, una nuova strada da seguire. Il tema del cambiamento di rotta rispetto al decennio passato porta con sé, ovviamente, quello del rapporto con Joe Biden, il presidente di cui Harris è stata vice. Incalzata sullo stato fisico e mentale di Biden, la candidata ha detto di non pentirsi per il sostegno dato al presidente, fino al suo ritiro: “Biden ha intelligenza, impegno e capacità di giudizio”, ha spiegato, rivendicando quindi alcune delle cose realizzate nei passati tre anni e mezzo: dagli investimenti nelle infrastrutture alle misure prese per favorire fonti energetiche alternative all’abbassamento del prezzo di certi medicinali. “È un buon lavoro”, ha detto. “C’è ancora molto da fare, ma è un buon lavoro”.
Il punto dolente dell’intervista, quello su cui i repubblicani si sono subito gettati per mostrare l’inconsistenza politica di Harris, è stato sicuramente quello dell’economia. Quando le è stato chiesto cosa pensa di fare, sin dall’inizio di un suo eventuale mandato alla Casa Bianca, Harris è tornata a vagheggiare una non ben definita “economia delle opportunità”, che rafforzi la classe media e riduca il costo della vita. Sono tornate, nelle sue parole, misure come un credito d’imposta di 25 mila dollari per i primi acquirenti di case e un altro credito d’imposta parentale di sei mila dollari per il primo anno di vita di un bambino. Ma si tratta di provvedimenti che necessitano di un passaggio per il Congresso, e che quindi restano incerti, se i democratici non riusciranno a ottenere la maggioranza alla Camera e al Senato. L’intervista ha dunque confermato che l’economia resta il vero limite nella campagna dei democratici. Se le loro proposte non si faranno più dettagliate, se non verranno offerte soluzioni nuove rispetto agli anni di Biden, la candidatura Harris potrebbe faticare, soprattutto in battleground states come la Pennsylvania.
Nell’intervista, la candidata ha anche riaffermato il profilo “duro” sulle questioni della sicurezza e del confine, che aveva già mostrato nel discorso conclusivo della Convention di Chicago. Harris si è impegnata a far “rispettare leggi” che regolamentano l’entrata negli Stati Uniti (anche se nel passato si era dichiarata a favore della depenalizzazione per coloro che, entrati illegalmente, non si sono resi responsabili di crimini). Nessuna vera novità sul fronte della politica estera, dove Harris ha ripetuto la necessità di “un accordo per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi” in Medio Oriente, rivendicando comunque il diritto di Israele a difendersi e rilanciando la soluzione dei due Stati. Sulle forniture di armi Usa all’alleato, Harris ha spiegato di non aver intenzione di bloccarle, come gli chiedono i settori più progressisti del suo partito. Interessante il passo indietro sul fracking, che Harris aveva sostenuto nel 2020 , da candidata alla presidenza, e che oggi invece respinge: “Come presidente non vieterò il fracking – ha spiegato -. Possiamo sviluppare una energia pulita senza vietarlo”. C’è stata infine, proprio come era avvenuto a Chicago, il tentativo di non sottolineare gli aspetti di appartenenza razziale e di genere della sua candidatura. “Mi candido perché credo di essere la persona migliore per fare questo lavoro, in questo momento, per tutti gli americani, indipendentemente da razza e genere”, ha detto la vicepresidente.
Alla fine, l’unica vera novità nell’intervista è stata l’annuncio che Harris intende nominare un repubblicano nella sua eventuale amministrazione, proprio come fece Barack Obama con Robert Gates alla difesa: una mossa per allargare la sua base elettorale, dopo aver invitato alla convention di Chicago numerosi esponenti del G.O.P. critici verso Trump. Molto defilato, durante l’intervista, è stato il ruolo di Tim Walz, che si è detto “incredibilmente orgoglioso” dei suoi 24 anni nella Guardia Nazionale ma ha eluso la domanda su una sua diretta partecipazione ad azioni di guerra, come aveva sostenuto nel passato. In definitiva, si è trattata di un’apparizione non particolarmente trascinante per il ticket democratico, che deve probabilmente trovare proposte e un linguaggio nuovo per mantenere lo slancio delle settimane che hanno portato alla Convention di Chicago. I limiti dell’intervista sono stati subito rilevati da, Trump, che oltre a bollare come “noiosa” la prova dell’avversaria, ha detto, durante un comizio in Wisconsin, che Harris “non ha mostrato di poter essere una vera leader. Non ha mostrato di essere in grado di negoziare con Xi Jinping o Kim Jong-un”.