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Paesi Ue in crisi e alle prese con i budget 2025. Dopo la Germania anche la Polonia frena sui fondi per l’Ucraina

“Non mi sorprende che il presidente ucraino chieda più aiuti, perché è il suo ruolo. Ma il nostro ruolo è prendere decisioni in base agli interessi dello Stato polacco. Ad oggi, tutto ciò che avremmo potuto dare all’Ucraina è stato dato”. A parlare è Wladyslaw Kosiniak-Kamysz, ministro della difesa polacco. Una freddezza di Varsavia che cozza con il vigore con cui la Polonia ha sostenuto in questi due anni la necessità di azioni risolute dell’Europa contro la Russia. Sinora il paese ha speso nel sostegno all’Ucraina un totale di circa 25 miliardi di euro.

Ma anche la Polonia ha i suoi conti da far quadrare, i governi di tutta l’Unione europea sono alle prese con i budget per il 2025, il patto di Stabilità, per i paesi che vi sono vincolati, è tornato pienamente in vigore con i suoi limiti al ricorso a nuovo debito. Dopo la Germania, anche Varsavia che ha vincoli di finanza pubblica stringenti, intende quindi diminuire le risorse finanziarie da destinare a Kiev.

La Germania, sinora primo finanziatore europeo di Kiev, ha detto che nel 2025 i fondi per l’Ucraina si dimezzeranno da 8 a 4 miliardi. In teoria, Berlino pensa che alla fine i soldi per Zelensky non diminuiranno. A colmare l’ammanco dovrebbero essere i proventi degli asset russi depositati in Europa (presso Euroclear) e al momento congelati. Su questo tema la Germania si è resa protagonista di un’inversione ad “u”. Prima era tra i più contrari, ora tra i più favorevoli. È semplicemente una questione di soldi, che non ci sono.

Economicamente la Germania soffre. Certo non solo per la guerra in Ucraina ma, di sicuro, anche a causa di essa. La fine della disponibilità di risorse energetiche a basso costo provenienti dalla Russia si traduce in tariffe più alte per famiglie ed aziende. Le imprese energivore (siderurgia, chimica, fertilizzanti, etc) qui abbondano e costi più alti significano minore competitività sui mercati internazionali.

C’è naturalmente un’altra voce su cui ci si può in parte rifare: il costo del lavoro. Ma è facile capire cosa questo possa significare in termini sociali e di consenso politico, in un paese già alle prese con l’avanzata dell’estrema destra (contraria al sostegno all’Ucraina). I problemi della Germania li affrontano, in misura minore o maggiore a seconda della struttura economica, tutti i paesi europei. In modo diretto e indiretto. La fiacchezza dell’industria italiana si spiega anche con le ricadute della stagnazione tedesca. Le fabbriche del Nord Italia sono in molti casi pienamente integrate nelle filiere produttive tedesche.

Sui fondi russi sinora è passata una soluzione morbida, quella di impossessarsi solo degli interessi che maturano (circa 3 miliardi all’anno) senza mettere le mani sul patrimonio. Con questi soldi si dovrebbero gradualmente ripagare i prestiti messi a disposizione di Kiev. Ma rapportati al costo della guerra sono cifre modeste e l’incognita dell’esito delle elezioni americane mette a rischio anche le somme che arrivano dagli Stati Uniti. Peraltro, anche nel caso di una vittoria della democratica, ed attualmente vice presidente, Kamala Harris, non è scontato che il livello degli stanziamenti rimanga sui valori degli ultimi due anni.

In questo scenario gli asset russi fanno sempre più gola. Ma i rischi sono tanti, non a caso sinora i paesi europei avevano frenato gli appetiti statunitensi. Ora le posizioni sembrano ribaltarsi. Aggredire i soldi depositati creerebbe un precedente pericoloso. Tutti i paesi fuori dall’Ue, a cominciare da Cina ed Arabia Saudita, saprebbero che depositando denaro in Europa correrebbero il rischio di vederselo sequestrare in caso di azioni sgradite agli alleati occidentali. In fondo Mosca aveva scelto di lasciare il denaro a Bruxelles proprio perché lo riteneva al sicuro. Anche la Banca centrale europea ha ricordato i rischi per la stabilità finanziaria della zona euro che potrebbero derivare da questa scelta. Le banche europee guardano l’ipotesi con terrore, temendo di finire invischiate in una lunga battaglia nei tribunali di mezzo mondo. La legittimità giuridica del sequestro dei fondi è infatti tutt’altro che scontata.

Forzandosi a guardare il tutto con ottimismo si potrebbe supporre che le trattative per la fine delle ostilità potrebbero essere favorite dalla fine dei soldi. Non solo dal lato ucraino. Le sanzioni si sono dimostrate molto meno efficaci rispetto a come erano state propagandate e l’economia russa cresce a ritmi sostenuti, superiori a quelli europei. Ma ciò dipende anche dallo stato di economia di guerra che spinge forzatamente la produzione, uno sforzo che non può durare all’infinito.