Calcio

Ti ricordi… quando la Premier League stava per fallire e la Serie A salvò i top club dal baratro

Paradiso Premier. Già, oggi il campionato inglese è indubbiamente il migliore al mondo, una spanna sopra tutti gli altri, tra squadre da favola, stadi bellissimi, spettacolo e campioni. Seppur con un mercato in frenata rispetto ai fasti del passato (a parte le follie del Chelsea) e con un indebitamento che comincia a diventare allarmante (ma […]

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Paradiso Premier. Già, oggi il campionato inglese è indubbiamente il migliore al mondo, una spanna sopra tutti gli altri, tra squadre da favola, stadi bellissimi, spettacolo e campioni. Seppur con un mercato in frenata rispetto ai fasti del passato (a parte le follie del Chelsea) e con un indebitamento che comincia a diventare allarmante (ma i ricavi sono almeno tripli rispetto agli altri campionati), la massima serie inglese è oggi un riferimento. Il clima era decisamente diverso però 40 anni fa: a fine agosto del 1984 infatti The Economist pubblicava il “Financial Market Research”, un report che metteva in luce un quadro allarmante sulla Football League inglese: soltanto tre società sulle novantadue che componevano l’universo professionistico inglese erano solventi, il Liverpool, l’Arsenal e lo Sheffield Wednesday. Circa quaranta invece erano sull’orlo della bancarotta, con uno scoperto da 48 milioni di sterline all’epoca ritenuto monstre (oggi ci sono 1,9 miliardi di indebitamento).

Altre epoche certo, in cui transfermarkt non era neppure in embrione e con le società inglesi che non potevano iscrivere a bilancio il valore dei calciatori e il relativo aumento di prezzo o deprezzamento, con qualcuno che procedeva per tentativi: lo Swansea, ad esempio, in quell’anno deprezzava i suoi calciatori del 33 per cento annuo. Tempi diversi, evidentemente, ma con qualcosa di molto attuale, nel Financial Market Research, in particolare veniva evidenziata come causa della crisi delle società calcistiche inglesi la sproporzione tra gli aumenti degli incassi (all’epoca legata quasi unicamente ai botteghini), che registrava il 7,8 per cento e l’aumento degli stipendi dei calciatori, che in un anno erano cresciuti addirittura del 20 per cento. Cosa fare dunque? Vendere, ovviamente. E a chi se non alla Serie A, all’epoca ricchissima e considerata modello di business vincente e cui ambire per il futuro, visto che tutti i campioni migliori giocavano li?

Ed ecco dunque che Liverpool e Manchester United cedono Souness alla Sampdoria e Wilkins al Milan per racimolare miliardi di ossigeno. Altri invece riescono a strappare all’Italia la sponsorizzazione delle magliette, come il Watford (che per la verità dall’Italia era già riuscita a farsi pagare profumatamente Luther Blisset) che in quelle stagioni si era accaparrata la pubblicità dell’Iveco per le magliette gialle. Mentre il Tottenham si spinge su metodi più innovativi come l’emissione di azioni trattate dalla borsa di valori di Londra, riuscendo così, da club più indebitato della Lega, ad azzerare lo scoperto allo Stock Exchange. Altri ancora propongono di affidarsi al sempreverde mondo delle scommesse, creando un circuito parallelo alla Football pools commercial. Per la svolta vincente, investire su stadi e sicurezza in primis, sarebbero serviti una quindicina d’anni.