“Lo vedi Enzo? È secondo in qualifica, speriamo nella prima fila”. È attento Emerson Fittipaldi, che con l’animo di un giovane, nonostante i 77 anni d’età, assiste concentrato nel motorhome McLaren a Monza alla lotta per la pole di Formula 2, la categoria nella quale corre suo nipote. Nel frattempo sorseggia un caffè e davanti a lui ha il casco di Juan Manuel Fangio, ricevuto in dono da un addetto del museo dedicato all’argentino dopo averlo scambiato con il suo indossato ai tempi della Lotus. Nel frattempo riflette sia sulla F1 presente sia su quella passata, dato che proprio a Monza, nel lontano 1972, si prese il primo titolo di F1 con la Lotus, prima di bissare con il secondo e ultimo Mondiale 50 anni fa, a Watking Glen (Usa) e a bordo della McLaren. Proprio il team che oggi è sopra a tutti, dopo aver superato in pista la Red Bull.

A Monza è arrivato il primo straordinario titolo con la Lotus. Ci pensa spesso a quel Mondiale?
Ci penso ogni volta che vengo all’Autodromo Nazionale. E le coppe dei due Mondiali di F1 le tengo in bella vista nel mio ufficio di San Paolo. Ricordo la tensione quando dovetti fare gli ultimi tre-quattro giri prima di vincere il Mondiale, poi scattò la grande festa post-gara al “Cafe do Brasil” di Milano. Ballammo fino alle 3 di mattina, poi partii per la Svizzera, dove vivevo allora. Se dovevo vincere lontano dal Brasile, non avrei scelto altra pista rispetto all’Italia. Qui trascorro sempre alcuni mesi all’anno sul lago di Garda, a Soiano del Lago. E proprio in questo Paese ho le mie origini, dato che i miei bisnonni erano di Potenza (in Basilicata). Un Gran Premio nel mio cuore, indubbiamente.

Cosa ricorda prima di quella vittoria a Monza?
La chiamata di Peter Warr (allora direttore tecnico della Lotus, ndr) mentre ero in hotel a Monza prima del weekend. Mi disse: ‘Emerson, abbiamo un problema’. Il camion che trasportava la mia Lotus si era cappottato e l’auto andò completamente in frantumi. Così Colin Chapman (fondatore e progettista del team) fece portare in Italia la 72D di riserva: il venerdì fu un disastro alla guida, il sabato migliorammo, la domenica prima della gara c’era un problema di pompaggio della benzina e non si sapeva se avrei partecipato o meno. Poi andò tutto benissimo, vinsi davanti a Mike Hailwood (allora pilota della Surtees) e mio papà Wilson, che nella vita faceva il giornalista sportivo, si commosse in diretta e mi celebrò.

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