È stata una corsa che si è chiusa al fotofinish, ma alla fine l’Italia sembra avercela fatta. Da quanto apprende Ilfattoquotidiano.it, Ursula von der Leyen ha deciso di modificare la struttura della sua nuova Commissione con quattro vicepresidenti, ai quali si aggiunge Lady Pesc Kaja Kallas, e ha così aperto le porte a una sedia “di peso” per Roma, come richiesto più volte dall’esecutivo. Una vittoria di Giorgia Meloni? Non proprio. La sua strategia a Bruxelles ha rischiato di compromettere seriamente la rilevanza della terza economia europea nella prossima legislatura, salvata solo dal ruolo svolto dal suo ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che dopo lo sgarbo del ‘no’ di Fratelli d’Italia a von der Leyen ha fatto valere il suo potere nella capitale belga e nei palazzi europei per ricomporre la frattura. Manca ancora l’ufficialità, ma le indiscrezioni che arrivano da Bruxelles parlano di un lavoro che ha portato i suoi frutti.

LA NUOVA STRUTTURA – Determinante per il successo della strategia italiana è innanzitutto la nuova organizzazione interna a Palazzo Berlaymont. Negli ultimi cinque anni, von der Leyen ha collaborato con tre vicepresidenti esecutivi (Margrethe Vestager, Valdis Dombrovskis e Maroš Šefčovič), sotto i quali operavano altri 4 vicepresidenti e il resto dei commissari. I primi avevano la supervisione su delle macroaree e, quindi, su tutti gli altri commissari che si occupavano di tematiche affini. Per fare un esempio, Paolo Gentiloni che aveva la delega agli Affari Economici non godeva di completa autonomia, ma doveva condividere le proprie proposte e le strategie da mettere in campo con Dombrovskis.

La nuova struttura della Commissione, invece, elimina i presidenti esecutivi e rimette tali responsabilità tutte sulle spalle dei quattro vicepresidenti, che dovrebbero essere assegnati in base alla rilevanza del Paese nel contesto europeo, ai quali si aggiunge l’Alto rappresentante per la Politica estera dell’Ue, Kaja Kallas. Così, gli incarichi appena un gradino sotto Ursula von der Leyen andranno con tutta probabilità alla Francia, che ha confermato Thierry Breton destinato a ottenere la delega all’Autonomia Strategica (anche se Parigi aspirava alla Difesa), all’Italia con Raffaele Fitto (probabilmente con l’ambita delega ai Fondi Comunitari che comprende anche quelli del Next Generation Eu) e alla Spagna con Teresa Ribera (alla quale andrà l’Ambiente). Resta l’incognita sul quinto nome: se si segue la logica del numero di abitanti, la casella spetterebbe alla Polonia, oggi rientrata nella maggioranza europeista col governo di Donald Tusk (Ppe), ma in questo caso von der Leyen dovrà trovare una soluzione accettabile per due nomi di peso e vicepresidenti esecutivi uscenti riconfermati dai propri Paesi, ossia Dombrovskis e Šefčovič. Non è quindi da escludere che, anche nell’ottica di un maggiore equilibrio tra partiti (i Socialisti si sono già lamentati nelle scorse settimane per gli eccessivi incarichi destinati al Ppe), von der Leyen non possa decidere di allargare la squadra dei vicepresidenti a 5+1, abbandonare la sua formula che favorisce i Paesi più importanti e formare una squadra di vice composta da Italia, Francia, Spagna, Lettonia e Slovacchia, con la comunque difficile esclusione della Polonia.

LA CARTA TAJANI – Fondamentale per la buona riuscita dell’operazione italiana è stato il lavoro diplomatico svolto da Tajani, soprattutto nei giorni precedenti alla scadenza imposta dalla presidente, il 30 agosto. Il vicepremier di Forza Italia, partendo dai buoni rapporti che furono tra Meloni e von der Leyen, ha cercato fin dall’inizio di far valere il suo potere a Bruxelles per convincere i compagni di partito, con l’aiuto del presidente Ppe Manfred Weber, che la nuova maggioranza in Europa avrebbe dovuto coinvolgere i Conservatori e non i Socialisti. Una battaglia dura da vincere, diventata impossibile dopo l’astensione di Meloni alla conferma di von der Leyen in Consiglio Ue, prima, e il già citato voto contrario di Fdi in Parlamento.

A quel punto, il rischio di isolamento era concreto per stessa ammissione del governo italiano che, però, già definiva questa possibilità una pericolosa ritorsione nei confronti di un Paese fondatore, terzo per numero di abitanti e terza economia dell’Unione. Ripartendo da questo, Tajani ha svolto un lavoro di ricucitura che ha visto lui stesso diventare il frontman dell’esecutivo a Bruxelles. Negli ultimi due giorni, il leader di Forza Italia ha portato Weber a Roma per fargli incontrare sia Fitto sia Meloni ed è poi volato in Belgio, dove ha tenuto dei bilaterali con von der Leyen e Metsola. Incontri che, stando alla situazione odierna, potrebbero essere stati decisivi. La leader tedesca ha capito che, in fondo, il sostegno dell’Italia le serve ancora per far approvare tutti i suoi commissari di marca Ppe, un po’ per il già citato malcontento dei Socialisti e un po’ per le divisioni interne ai popolari che, comunque, rimangono.

IL CALENDARIO – Da adesso, il calendario di von der Leyen sarà intenso, nella speranza di arrivare alla presentazione della nuova squadra già nella Plenaria di ottobre. La prossima settimana dovranno essere decise definitivamente tutte le deleghe, così che la conferenza dei presidenti in Parlamento, il 12 settembre, possa discutere la nuova composizione della Commissione. La settimana successiva si terrà la prima Plenaria a Strasburgo, alla presenza di tutti i commissari candidati. Il martedì la conferenza dei presidenti delle commissioni presenterà un primo calendario sulle audizioni singole che i candidati commissari dovranno svolgere di fronte alle rispettive commissioni parlamentari e che inizieranno la settimana dopo Strasburgo. L’obiettivo è quello di arrivare a una rosa con deleghe definitiva entro il 10 ottobre, così da poter presentare la nuova Commissione per la Plenaria dello stesso mese.

X: @GianniRosini

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