Hanno raccontato di aver visto un uomo di origine africana in bicicletta e ne hanno fornito la descrizione agli inquirenti. Sono due testimoni, italiani di origine marocchina di 25 e 23 anni, ad aver dato una svolta decisiva alle indagini per l’omicidio di Sharon Verzeni. Perché quella notte tra il 29 e il 30 luglio erano nel pressi di Via Torre, una traversa di Via Castegnate, a Terno d’Isola. Non hanno visto scappare quello che poi si sarebbe rivelato essere il killer, come hanno spiegato agli inquirenti, malo hanno visto “risalire la via”. E le telecamere hanno in effetti ripreso i due testimoni alle 00:27, elemento temporale importantissimo perché qualche minuto dopo a passare e ad essere filmato è proprio l’assassino, Moussa Sangare, arrestato venerdì 30 agosto.

“Eravamo usciti come al solito molto tardi per allenarci. Era più o meno mezzanotte, eravamo a Chignolo vicino alla farmacia davanti al cimitero, dove ci siamo fermati per fare delle flessioni”, hanno raccontato i due ragazzi a Repubblica. E ancora: “A quel punto sono passati due nordafricani in bicicletta, poi un terzo. Lui ci è rimasto impresso, perché era un po’ strano. Aveva una bandana in testa e un cappellino, uno zaino e gli occhiali. Ci ha fissato a lungo e poi ci ha fatto una smorfia. Non lo avevamo mai visto prima”.

Dediti allo sport, uno dei due spiega: “Io mi sto allenando per il titolo italiano di kickboxing, ho l’incontro il prossimo 21 settembre. Lui gioca a calcio in prima categoria. Quella sera eravamo usciti come al solito molto tardi per allenarci”. Un lavoro, uno in un negozio di abbigliamento e l’altro come autista per un grande magazzino, raccontano di avere “avuto la cittadinanza da ragazzini, a quindici anni. Vogliamo far riflettere che se il killer è di origini straniere, lo siamo anche noi. Forse senza la nostra testimonianza sarebbe libero. Pensiamo di aver fatto il nostro dovere”.

Come hanno reagito quando hanno saputo dell’arresto di Moussa Sangare? Sono rimasti “sorpresi, non abbiamo mai pensato che l’assassino potesse essere lui. Anche se si vedeva che era uno che non stava bene. Abbiamo provato comunque un grande sollievo, perché non avevamo saputo più nulla sulle indagini”. E anche se si sentono “orgogliosi” di avere contribuito a trovare l’assassino di Sharon Verzeni un rimpianto resta ed “è non aver potuto fare qualcosa per lei. Non essere stati più vicini a via Castegnate. In quel caso forse avremmo potuto salvarla. Magari l’assassino ha visto una preda facile, come quei due ragazzini che voleva aggredire. Quando ha incrociato noi, invece, ci ha solo guardato male ed è andato avanti”.

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