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Nel Sahel vige il totalitarismo della violenza: si tratta di un regime di ‘sabbia’

In questa porzione del Sahel è in fase di applicazione una forma artigianale di totalitarismo, ovvero la dittatura del controllo totale. Si tratta del tipo più sviluppato di regime dittatoriale. Oltre alla repressione, all’ideologia e al capo, si aggiunge la presenza del regime in ogni ambito della vita. Ciò nel contesto della svalutazione dei tipi di democrazia esperimentati finora e scelti come capri espiatori delle attuali ‘impasse’. Gli attacchi dei Gruppi Armati Terroristi, la crisi economica, le carestie e la ricerca di un’identità ‘autoctona’ hanno condotto all’idea di ‘rottamazione’ di una democrazia vista come una forma neocoloniale di gestione della politica. Si tratta di un totalitarismo di ‘sabbia’.

Ahmed è originario del Somaliland. Dopo aver presentato il documento di ‘richiedente asilo’ e quello, plastificato, dell’Alto Commissariato per i Rifugiati, condivide alcune delle immagini che il telefono cellulare ha registrato nel deserto. Ahmed dice di aver perso la sua patria, il figlio, deceduto al momento della nascita a Niamey e la propria salute. Si trova ospite precario in una della case di accoglienza delle istituzioni di protezione umanitaria. Dice che il suo cuore non è più quello di prima. Le sue notti sono da tempo abitate da paure e incubi. Lui e molti come lui, passato dall’Etiopia al Sudan per arrivare all’inferno libico, ce lo ricordano.

Il primo totalitarismo è quello della violenza. Di essa si vive in buona parte del nostro Sahel. L’indigenza, il ruolo nefasto dei gruppi armati di ‘ispirazione islamico-commerciale’, l’assenza dello Stato, l’allentamento dei legami culturali e l’esclusione crescente dei poveri sono alcune delle espressioni della violenza perpetrata quotidianamente nella società. Il totalitarismo della violenza si esprime anche nella ‘banalizzazione’ della stessa. Si risponde alla violenza con la violenza e questo porta alla ben nota e denunciata ‘spirale della violenza’ dalla quale non si potrà uscire finché si rimarrà in una logica di annullamento dell’altro come persona. Il totalitarismo si nutre della riduzione degli umani a cose, a oggetti scomodi.

Le migliaia di migranti che continuano a tentare la fuga dal totalitarismo della miseria e dell’invisibilità della ‘globalizzazione’ non sono che un sintomo del malessere che attraverso il mondo contemporaneo. Da un parte il totalitarismo di un’economia capitalista che rende superflua una grande porzione dell’umanità e dell’altra il totalitarismo della miseria che sopprime la vita e la speranza di un futuro differente. I mari e i deserti, ricordava recentemente il vescovo di Roma, papa Francesco, “sono strade migratorie che si rivelano mortali… occorre dirlo chiaramente: ci sono coloro che lavorano sistematicamente a espellere i migranti e ciò, in tutta coscienza, è un peccato grave”.

I regimi di matrice totalitaria non possono evitare di controllare, orientare, dirigere, mettere in riga la comunicazione e l’informazione. Sulla scorta di quanto anche le altre agenzie che producono notizie stanno facendo da anni, anche i Paesi del Sahel stanno costruendo la ‘loro’ agenzia, che non potrà non farsi portavoce di coloro che la finanziano e dirigono. Come pure in ambito sociale, per un totalitarismo che si rispetti, non si potrà che andare verso un controllo accresciuto dei cittadini, delle loro idee e dei loro comportamenti. Certo non siamo a livello delle Cina che assolda, a questo scopo, milioni di telecamere per ‘spiare’ o cittadini, ma la delazione e i regolamenti di conti basteranno.

Qualche giorno fa, uno dei capi di uno stato del Sahel affermava testualmente che “non esiste una libertà personale ma solo una libertà collettiva”. Ciò per evitare di cadere, secondo lui, nell’anarchia sociale. In effetti, nelle frase citata, si può vedere in qualche parola lo stile stesso del totalitarismo di cui è questione. Chi si arroga il diritto di decidere l’uso della ‘libertà collettiva’? Qualche militare al potere grazie alle armi oppure i soliti illuminati che presumono aver trovato nella magica parola ‘sovranità’ la chiave di volta per ridare dignità al popolo che essi presumono di rappresentare?

Non c’è nulla di peggio che le ‘menzognere verità’ come ricordava il dissidente russo Alexander Zinoviev, per perpetuare un sistema totalitario. Per fortuna di sabbia, come sta scritto.