Vladimir Putin è atterrato questa mattina in Mongolia per celebrare l’85esimo anniversario della vittoria delle forze sovietiche e mongole su quelle giapponesi nella battaglia di Nomonham del 1939. Ma proprio la meta scelta indica l’eccezionalità della mossa del Cremlino: è la prima volta dall’inizio del conflitto russo-ucraino e dalla successiva emissione del mandato di arresto per crimini di guerra del 2023 che il leader russo si reca in visita in un Paese aderente allo Statuto di Roma che nel 1998 ha istituito la Corte Penale Internazionale.
Secondo quanto previsto dal documento, le autorità di Ulan Bator dovrebbero, in teoria, arrestare chiunque metta piede sul territorio mongolo e si veda raggiunto da un mandato di cattura internazionale emesso dalla Cpi. Eppure, secondo quanto riportato dal portavoce della Corte, Fadi el-Abdullah, nonostante le autorità della Mongolia siano formalmente obbligate a rispettare il trattato, di fatto non è stato predisposto un organo internazionale volto a farlo rispettare. Al massimo, la Corte potrebbe solo avviare un procedimento nei confronti di Ulan Bator.
La Cpi, che è un tribunale per crimini internazionali con sede a l’Aja, ha una competenza complementare rispetto a quella degli Stati. Ciò significa che può agire solo e se gli Stati non possono o non vogliono agire per punire la commissione di crimini internazionali da parte di persone fisiche. Il diritto internazionale, che in parte si basa sul diritto consuetudinario, è in continua evoluzione e molto spesso predispone atti che pur essendo di grande rilevanza politica, non sono giuridicamente vincolanti. Questo è il caso della stessa Corte. Non esiste infatti, ad oggi, una polizia a cui l’istituto fa affidamento per rendere effettivo il suo potere. L’attuazione delle decisioni prese dai giudici si basano quindi sulla cooperazione degli Stati membri che al momento sono 124. Il risultato di questo sistema è che accade spesso che soggetti accusati di aver commesso crimini internazionali restino impuniti anche quando raggiungono uno dei Paesi firmatari. Dei 49 mandati di arresto emessi dalla Corte dal 2002, solo 21 hanno portato a detenzioni e comparizioni in tribunale.
Mosca, già prima dell’arrivo del presidente russo in Mongolia, non ha mostrato preoccupazioni in merito alla lealtà di Ulan Bator. “Tutti gli aspetti della visita sono stati preparati con grande cura”, ha commentato in conferenza stampa il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Dall’altro lato la portavoce della Commissione europea per gli Affari Esteri, Nabila Massrali, e il governo di Kiev hanno chiesto maggiore collaborazione tra gli Stati membri affinché chi commetta crimini paghi per le proprie azioni.
Le ragioni che spingono la Mongolia ad agire in favore del Presidente russo sono diverse e sono legate a doppio filo con l’economia del Paese. A livello ufficiale il governo mongolo ha adottato una posizione neutrale sulla guerra in Ucraina e ha stanziato aiuti umanitari per i rifugiati colpiti dal conflitto, ma che l’energia del Paese dipenda quasi ed esclusivamente dalla Russia è un fatto. Il petrolio acquistato dalla Mongolia proviene in massima parte da Mosca, sia per ragioni storiche che per ragioni geografiche, e nonostante si dica che Ulan Bator sia una democrazia in mezzo a due Paesi autoritari, Russia e Cina, con essi mantiene forti relazioni.