Nell’afoso clima tropicale di questo tardo agosto si manifestano inquietanti mutazioni genetiche che riguardano soprattutto il Pd. Ad esempio, la cronica “sindrome dell’ospite in casa d’altri” che affligge Elly Schlein sta ormai virando in quella “di Stoccolma”; in cui la sequestrata sviluppa una dipendenza psicologica nei confronti dei carcerieri, che assume l’aspetto di un vero e proprio innamoramento. In questo caso, la condiscendenza verso i cacicchi che la tengono in pugno determina l’abiura di ogni velleità rinnovatrice sbandierata in passato, trasformando la mitica Thule del “campo largo” in una sorta di suq maghrebino; perfetto per rimettere in gioco il tosco-saudita Matteo Renzi, con tutte le sue cianfrusaglie da “vu cumprà” della politica nazionale.

Scelta palesemente castratrice di ogni speranza futura di altra-politica, perfettamente sintonica con le pervicaci insensatezze dei suoi sequestratori, secondo cui le elezioni saranno vinte a sinistra se si indosseranno i panni della destra: il camuffamento liberale e moderato del destrismo legge e ordine, molto più ordine che legge. Tesi che la tenera Elly ripete, con lo sguardo vitreo da menticidio, tanto nella politica romana come sul campo di calcetto (abbracciata al Renzi specialista dello sgambetto).

Ora gli effetti della dabbenaggine indotta appaiono in tutta la loro tragica evidenza nella Liguria sconvolta dal Totigate e presto chiamata alle urne per eleggere un nuovo presidente, in cui la Schlein accredita l’opportunità di imbarcare un patentato azzeratore di consensi – quale il leader di Italia Viva, in cerca di un nuovo vettore per la propria rielezione – proprio nella regione incenerita dal lanciafiamme modello “Thatcher d’annata” della fiduciaria renziana: l’ex comunista in carriera Lella Paita, che ha intrecciato liaisons dangereuses con il Totismo ottenendo in cambio un proprio assessore nel Comune di Genova (il baldo Mauro Avvenente, subito pronto a dichiarare che lui la poltrona non intende mollarla).

In questo Campo Largo ridotto a Camposanto della politica si aggira l’anima in pena del candidato in pectore del sinedrio politicante ligure Andrea Orlando. Il quale, nel fuoco dei veti incrociati, ora dichiara che la sua disponibilità alla carica presidenziale “è in scadenza come lo yogurt”. Tanto che ci si è chiesti se l’ex ministro, come le sopracciglia tatuate del suo amico Stefano Bonaccini, non nasconda un codice a barre marchiato là dove non batte il sole. Comunque, riferimento al latticino molto condivisibile; stante la natura insapore del noto politico, rimbalzato su svariate poltrone senza mai lasciare la minima traccia del proprio passaggio.

Non a caso da qualche giorno circola un documento-decalogo di 36 esponenti liguri di quella opposizione sociale che da anni – nell’assenza dell’opposizione politica (per non parlare dei mercimoni di suoi esponenti con la maggioranza) – scende in piazza e denuncia le malversazioni, le devastazioni e perfino le pagliacciate a spese del pubblico denaro di questi sequestratori della civica democrazia. In sostanza dieci punti irrinunciabili perché l’alternativa al Totismo non si riveli un ritorno al passato del Burlandismo (in cui molte delle malefatte di questa amministrazione destrorsa – ad esempio la svendita della sanità pubblica – erano state anticipate dalla sedicente sinistra, seppure ancora a un livello artigianale).

Sicché non stupisce l’immediato endorsement a favore di Orlando di Sergio Cofferati, venuto a svernare a Genova dopo essere stato rigettato da Bologna, la città accogliente e gioviale che l’ex segretario della Cgil pretendeva di amministrare da sindaco-sceriffo; così smascherando l’equivoco di chi lo accreditava quale possibile rifondatore di una sinistra pura e dura dopo l’overdose di opportunismo dalemiano. Quando – in effetti – il sindacalista fan di Tex Willer era solo un blairiano di conio padano.

Invece stupisce l’altro endorsement – quello di Ferruccio Sansa – bizzarro nella sua dimenticanza del bagnomaria a cui l’aveva costretto il facente funzione di responsabile Pd per la Liguria nelle scorse regionali – nientemeno che l’ineffabile Orlando – dando lo start alla campagna per battere Toti solo qualche settimana prima della scadenza elettorale. Ennesima riprova della costante volontà di tenere la società locale, tradizionalmente di sinistra, in stato di animazione sospesa per poterla meglio controllare. Da qui l’inevitabile conseguenza dell’infimo livello di qualità politica che affligge il popolo ligure, incapace di esprimere leadership a misura delle sfide che incombono su una regione smarrita e incattivita.

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Renzi è l’alibi che serve al Pd per continuare a non fare cose di sinistra

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