Di Valentina Petrillo, atleta, si sta parlando molto: sarà la prima persona transgender al mondo ammessa a competere alle Paralimpiadi nel suo genere di elezione. Ma qual è la sua storia e che cosa significa e che questioni solleva la sua presenza alle Paralimpiadi? Ne ho parlato con Christian Cristalli, responsabile nazionale per i diritti trans di Arcigay.

“Tutto nasce verso la fine del 2017 quando facevamo gli incontri di socializzazione con il Gruppo Trans di Bologna, un’associazione di cui io ero al tempo presidente – mi racconta Christian – Mi ricordo che un giorno, durante un incontro aperto a cui partecipavano molte persone, entrò Valentina. Eravamo tutte sedute in cerchio intorno a un grande tavolo. Saremo state trenta o quaranta persone. Fuori pioveva. La vidi entrare e vidi una persona un po’ smarrita. Per lei era un passo molto importante aver varcato quella porta e venire da noi. Inoltre subito non avevamo capito che fosse disabile, cioè che non vedesse bene. La invitammo a sedersi. Era palesemente molto agitata ma sentì comunque questo forte desiderio di presentarsi. E come iniziò a parlare scoppiò a piangere. Mi ricordo che ci disse io sono il campione italiano in carica con 12 titoli vinti nella corsa per l’atletica leggera ma non so come fare perché ho capito di essere una donna. Capisco che per essere Valentina devo perdere tutto il resto che è la mia vita. Ci raccontò della sua disabilità e del suo vissuto. Aveva iniziato a correre a Napoli, la sua città. Abitava in un brutto quartiere dove c’era una strada in salita che attraversava una zona un po’ pericolosa e lei aveva sempre paura. Così la faceva di corsa. Quello era come se fosse stato l’inizio dei suoi allenamenti. Fare la strada correndo la faceva sentire protetta e piano piano aveva anche iniziato a farla sentire libera. Per lei spariva anche il fatto che non ci vedesse. Correre poi era diventata la sua vita e non poteva pensare che avrebbe dovuto scegliere tra chi era, una donna, e il suo sport”.

“Per me è stato uno shock”, continua Cristalli. “Sono intervenuto promettendole che non avrebbe mai dovuto scegliere. Le garantii che avremmo trovato una soluzione insieme. Capendo di non essere sola e che avrebbe potuto competere come Valentina insieme alle altre atlete donne, tirò fuori tutta la sua tenacia. Immediatamente fece coming out col suo allenatore, il quale purtroppo non le parlò più. Ne trovò un altro e iniziò a superare le barriere che via via le venivano messe lungo il cammino senza mollare mai. Noi come associazione iniziammo a contattare la Uisp nazionale, il Coni, il Comitato Olimpico Internazionale. Siamo riusciti a ottenere che potesse competere nel suo genere di elezione senza avere ancora cambiato i suoi documenti. Pensate: una piccola associazione come la nostra riuscì ad ottenere un traguardo mondiale così importante! Ne siamo ancora molto orgogliosi. Tra l’altro tutto questo è stato seguito da una telecamera ed è diventato un film 5 Nanomoli che davvero dovrebbe essere visto da tutte e tutti, una storia potentissima”.

Ci troviamo sempre di fronte a storie di vita che si scontrano con una grandissima assenza di riflessione e di buon senso quando si parla di persone transgender. Assenze che si traducono poi in privazioni di diritti. Ma quando si parla di persone transgender sembra che il buon senso si perda completamente. “Bisognerebbe capire che quando si parla di sport non bisognerebbe più parlare di categorie uomo/donna”, aggiunge Cristalli. “Quello che noi persone transgender chiediamo è che si capiscano quali sono i parametri che fanno performance in ciascuno sport e si creino delle categorie in base a quei parametri. Ormai troppi corpi non rientrano più nella tipologia di ragionamento antiquata uomo/donna. Ecco che, cambiando questi parametri, non avrebbe più importanza il genere della persona che sia cisgender, transgender o intersessuale. Nessuno si è mai posto il problema dei vantaggi fisici nei differenti sport delle varie persone. Nel nuoto vincono quasi sempre persone bianche, nella corsa quasi sempre persone nere per esempio. Ma non si potrebbero fare per queste persone delle categorie o escluderle perché almeno quello per fortuna sarebbe considerato razzismo. Però ciò che invece è transfobico in maniera evidente è ancora permesso”.

Valentina Petrillo ha già vinto. In un paese in cui manca la politica, lei ha sfondato un muro. Però le riflessioni da fare sono davvero molte. Prima fra tutte il fatto che Valentina Petrillo nel mondo delle paralimpiadi possa competere con le donne ma nel mondo fuori dalla disabilità no. Questo che cosa vuol dire? Che le Paralimpiadi valgono meno? Che dobbiamo augurare a ogni atleta trans di avere una disabilità per poter competere?

Non è una questione di corpi né di categorie. È esclusivamente una questione di transfobia e che sia così lo ha dimostrato l’anno passato la federazione internazionale di scacchi, sport in cui non serve alcuna forza fisica, ma dal quale le giocatrici transgender sono state escluse dalle competizioni femminili. Esiste una spiegazione che non sia puro odio verso le persone transgender?

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