Diffidare delle informazioni parziali, verificare le fonti, scegliere prodotti biologici o a km zero: una guida ci spiega come fare
Trasformare il carrello del supermercato in un vero e proprio strumento per bloccare l’attuale insensato ingranaggio di produzione, commercializzazione e consumo di cibo. Portando energia a chi è ora ai margini degli interessi economici (contadini e produttori di cibo), e bloccando i monopoli finanziari e commerciali che controllano il mercato. Sembra un’impresa titanica e impossibile e invece si può.
Per diventare cittadino ”Accorto” occorre anzitutto sapersi difendersi da chi usa i temi della sostenibilità in maniera strumentale per vendere un prodotto in più per ripulire la propria immagine. Bisogna imparare a districarsi tra le pieghe di informazioni ambigue o false, cercando di partire dalla conoscenza del fenomeno e dai metodi che vengono più spesso utilizzati dalle aziende (greenwashing, socialwashing, pinkwashing).
Qualche esempio? Diciture come “ecologico”, “sostenibile”, realizzato “secondo natura” o con “ingredienti naturali”, relative a un prodotto – magari accompagnate da contenitori color verde prato o azzurro cielo arricchiti da foglie, fiori, spighe di grano, gocce d’acqua, antichi mulini e sorridenti mietitrici” – vanno prese con le pinze.
Occhio a comunicazioni parziali, ambigue, indimostrabili
Ma il greenwashing non si limita al packaging e alle confezioni, perché, scrivono gli autori, le informazioni fuorvianti possono essere trasmesse attraverso campagne e materiali di marketing, siti web, post sui profili aziendali o di influencer. In sintesi, sempre per conquistare la famosa A di Consumatore Accorto, bisogna diffidare da comunicazioni “parziali”, focalizzate cioè su un unico aspetto (ad esempio una catena di fast food che promuove campagne sulla riduzione dei rifiuti, ma non parla delle emissioni della carne), “ambigue e poco chiare”, ma anche “irrilevanti” (si enfatizza la presenza di un ingrediente bio dalla percentuale risibile), “indimostrabili, non pertinenti, deleganti” (l’azienda fa solo da tramite di azioni di cambiamento, ad esempio chiede al consumatore un contributo per compensare le emissioni, come talune compagnie aeree); ancora, “false” (colpite da condanna o sanzioni). Serve insomma appunto diffidare di tutti questi messaggi e orientarci verso brand credibili e coerenti.
Se lo smartphone ci viene in aiuto
Per ottenere invece la seconda A, quella di consumatore “Accurato” occorre partire ponendosi alcune domande: la fonte è attendibile? O ha interessi nello scrivere ciò che scrive? La questione riguarda da vicino gli influencer, in particolare i food influencer e i food blogger, che hanno un ruolo importante nell’orientare le scelte dei consumatori, specie quando hanno una “fanbase” piuttosto omogenea, verso la quale si va a colpo sicuro. Il consumatore Accurato fa caso anche alle testate giornalistiche influenzate nei contenuti dagli inserzionisti, distinguendole dalle campagne basate su materiale utile e ragionato.
Buoni e accurati strumenti per evitare le più clamorose storture del mercato del cibo sono forniti anche dalla tecnologia. Con il nostro smartphone possiamo per esempio conoscere nel dettaglio cosa stiamo acquistando. Ci sono delle applicazioni che, con una semplice scansione del codice a barre, possono fornire informazioni di dettaglio sui valori nutrizionali degli alimenti più diffusi, sugli additivi o sulle eccessive quantità di sale, zucchero, grassi saturi inserite nel processo. Tra queste, ad esempio, “Yuka” e “Edo-Sai cosa mangi?” Ma anche “Open Food Facts”. Sul fronte degli sprechi, “Too good to go”, “Svuotafrigo”, “Sprecometro”.
Rifuggire da prezzi troppo bassi e acquistare equo e solidale
Infine, c’è la terza A, quella di consumatore “Attivo”, che si può conquistare impegnandosi in prima persona a far crescere alternative realmente sostenibili ai meccanismi diffusi del mercato, diventando così, spiegano gli autori, “consumattivisti”. Tre sono i comportamenti virtuosi per ridurre gli impatti negativi dei nostri consumi di cibo: rifuggire dai prezzi troppo bassi degli alimenti; ridurre gli sprechi sia in fase di acquisto che a livello domestico; evitare cibi provenienti da filiere agro-industriali inquinanti, cibi ultraprocessati, produzioni ortofrutticole fuori stagione.
Non solo: ogni consumatore, compatibilmente con il proprio tempo e le proprie risorse, può attivarsi per: sostenere l’economia equa, solidale e sostenibile, acquistare cibo proveniente da filiere di realtà produttive locali o nazionali conosciute, prodotti biologici (comprati possibilmente in gruppi di acquisto o negozi specializzati bio. Una mappatura è presente sul portale laspesadelcontadino.com). Ancora: creare o partecipare a gruppi di acquisto solidale (Gas), oppure portali come l’Alveare che dice sì, in cui alcuni produttori locali si iscrivono mettendo in vendita i loro prodotti.
Sostenere l’informazione indipendente
Altre azioni possibili sono: cercare di far diffondere le informazioni in scuole e università, come genitori, studenti, insegnanti o semplici cittadini; chiedere alle istituzioni pubbliche e realtà private l’adozione di comportamenti e prodotti sostenibili.
Infine, ultime due azioni: partecipare attivamente ad associazioni e comitati impegnati su questi temi. Da ultimo, sostenere l’informazione indipendente, che necessiti del sostegno continuo da parte dei lettori. “Un sostegno anche economico, anche solo in forma di abbonamento”, concludono gli autori, “può contribuire a garantire la sostenibilità di redazioni e giornalisti che non beneficiano di sussidi di enti pubblici o di proventi da inserzionisti”.