Dopo mesi di silenzio e mistero, finalmente il Presidente Sergio Castellitto ha deciso di prendere parola sul misterioso incendio avvenuto a Cinecittà. Dice che c’erano già stati altri incendi, lascia capire che le domande lo infastidiscono e che c’è poco su cui indagare.
Facciamo allora un passo indietro. Tutto parte da 17 contratti a termine biennali che il Cda del Centro sperimentale di Cinematografia decide di non rinnovare, anche se costituiscono un asset fondamentale per la digitalizzazione e dunque la conservazione dei materiali filmici.
Il tutto mi diventa ancora più indigesto quando comprendo che il Csc rinuncia a questi dipendenti dopo averli professionalizzati, quando la loro attività è resa ancora più urgente da un incendio scoppiato l’8 giugno, che manda in cenere un intero deposito dei film in nitrato. Il cellario B4. Non trovando informazioni sul fatto, deposito un’interrogazione rivolta al ministro Sangiuliano e chiedo pubblicamente al Csc di saperne di più.
Scopro che un comunicato sul sito della Fondazione con foto era apparso il 12 giugno. Ma per poche ore. Infatti, dopo la pubblicazione era stato inspiegabilmente rimosso. Scopro infine un’altra azione ancora più surreale: pregare i dipendenti di non divulgare la notizia.
L’unico a prendere parola, offrendo qualche breve replica ai giornalisti, è il responsabile della comunicazione, Mario Sesti, il quale minimizza sostenendo che siano andate perdute solo “copie” di “copie”. Dichiarazione surreale, che non regge di fronte al fatto che una copia in nitrato, specie se con colorazioni d’epoca, è in sé un originale.
Chiedo, con una seconda interrogazione, quali siano le pellicole bruciate e cosa si intenda fare per impedire nuovi casi. Nulla. La notizia diventa finalmente di dominio pubblico, ma ancora silenzio. Dopo un sopralluogo al Centro, svolto con la deputata Francesca Ghirra, finalmente ottengo un foglio Excel nel quale sono presenti i 220 titoli di pellicole andate in fumo.
Nel frattempo scopro che, a fronte di un costo “insostenibile” di 189mila euro per i 17 contratti non rinnovati, il Presidente Sergio Castellitto ha attivato consulenze per circa 800mila euro. In particolare, l’importo assegnato ad Angelo Tumminelli non ha precedenti, così come il ruolo non previsto in passato.
Chiamato in causa, Castellitto esce dopo mesi di silenzio con una precisazione nuovamente assurda, chiarendo che i 556mila euro per 4 consulenze legali sono “a consumo” e dunque non “sussiste a oggi alcun costo a carico della Fondazione”. Assurda, perché anche se quel costo oggi non sussiste, resta ovviamente impegnato e non utilizzabile per altre esigenze. Un’affermazione che dimostra una competenza più da grande attore che da presidente di un ente vigilato dalla Corte dei Conti, da cui forse la necessità dei quattro avvocati.
Anche il presidente – pur lasciando trasparire che si tratta di una polemica motivata solo dal fatto di essere nominato da un governo di centrodestra (ci mancava un po’ di vittimismo tipico dell’era meloniana) – ribadisce che “buona parte delle perdite riguardano film di nazionalità straniera di cui esistono sicuramente altre copie all’estero”.
Quello che Castellitto non dice è che, tra tutti i lodevoli tentativi di porre all’attenzione del MiC la necessità di un nuovo sito di conservazione dei nitrati, resta inspiegabile la decisione del CdA di togliere dagli investimenti del Pnrr quelli destinati al nuovo deposito dei nitrati. La precedente Presidente Marta Donzelli l’aveva infatti inserito, stanziando 2.200.000 euro. Nella rimodulazione effettuata dal nuovo Presidente Castellitto, l’acquisto del deposito è stato eliminato.
Tra i film bruciati ci sono capolavori come Miracolo a Milano, certamente oggi duplicati, ma le cui copie d’epoca hanno un valore storico. Come anche i provini di ammissione al Csc negli anni 50. Tra cui quello di Mastroianni e Lucia Bosè diretto da Luciano Emmer: bruciato proprio mentre inaugurava la bella mostra per il centenario della nascita di Marcello Mastroianni.
Castellitto è giustamente orgoglioso di tutte le iniziative culturali del Csc. Lo siamo anche noi. Immaginiamoci tuttavia se il Presidente di un museo o di una grande biblioteca nazionale dichiarasse che qualche centinaia di stampe antiche sono bruciate, ma magari ci saranno anche all’estero. Verrebbe giù il mondo. E in effetti questo è la Cineteca Nazionale, un “museo delle opere cinematografiche”. Solo che Castellitto pare non saperlo.
Nulla sappiamo delle procedure messe in atto dal curatore Steve Della Casa per evitare nei limiti del possibile una nuova catastrofe. Salvo un presidio armato a guardia dei nitrati!
Dei 17 lavoratori e lavoratrici lasciati in strada non c’è traccia. Io penso che sarebbe giusto intanto dire perché è stato deciso di privarsi del loro lavoro. Forse al Csc la pur giusta ambizione alla visibilità culturale e mediatica ha fatto dimenticare il rigore della conservazione archivistica.
Avanzo una proposta: rendere indipendenti le due funzioni, progettando un autonomo Archivio Nazionale del Cinema, come esiste in quasi tutti i Paesi europei, che non sia la semplice appendice di una, seppur prestigiosa, scuola di cinema.