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La nostra specie si è evoluta in Africa attraverso una linea continua di specie progenitrici oggi estinte. Sono inoltre esistite sulla terra varie specie di ominidi oggi estinte che non appartengono alla nostra linea evolutiva: rami collaterali. La specie animale più prossima all’uomo oggi esistente è lo scimpanzé ma in passato ci sono state molte specie più simili a noi delle quali rimangono soltanto fossili.
Ci sono evidenze schiaccianti dell’origine africana, sia fossili che genetiche: infatti l’Africa è il continente nel quale la variabilità genetica umana è massima. A varie riprese gruppi umani sono migrati fuori dall’Africa e hanno colonizzato i limitrofi continenti asiatico ed europeo; però tutti questi gruppi si sono estinti tranne probabilmente uno solo o pochi migrati circa 100.000 anni or sono.
Uscire dall’Africa verso l’Eurasia richiedeva eventi climatici transitori che aprissero dei corridoi percorribili e ricchi di sorgenti d’acqua e di cibo o attraverso le zone oggi desertiche del Sinai o alla bocca del mar Rosso. Queste condizioni dovevano avere durate significative perché le migrazioni delle popolazioni primitive non assomigliavano a viaggi, ma erano invece graduali espansioni demografiche e territoriali estese su periodi di secoli e millenni.
Siamo comunque certi che periodi adatti si siano verificati varie volte tra 180.000 e 100.000 anni fa e anche precedentemente. Ad esempio la migrazione che ha originato gli uomini di Neanderthal asiatici ed europei, oggi estinti, è precedente a quella degli antenati delle popolazioni extra-africane moderne.
Una volta che Homo sapiens era uscito dall’Africa, le pianure euroasiatiche erano relativamente percorribili e non fornivano barriere insormontabili: la colonizzazione dell’Asia e dell’Europa si sviluppò nel corso di circa 50.000 anni. Durante questo periodo avvennero varie mutazioni genetiche, tra le quali anche quelle responsabili del cambiamento del colore della pelle, carattere principe di tutte le teorie razziali ottocentesche.
Il colore della pelle è determinato in parte geneticamente e in parte dall’ambiente ed è complesso perché dipende dalle varianti alleliche di un centinaio di geni che partecipano alla biosintesi di sostanze chimiche nerastre chiamate melanine. La quantità e il tipo di melanina determina il colore della pelle e tutti sappiamo che questo viene in mille sfumature diverse, per cui gli africani differiscono tra loro e dagli indiani di pelle scura o dagli aborigeni australiani.
Il colore della pelle è un pessimo indicatore dell’origine genetica di una popolazione perché è soggetto a una forte selezione naturale: nelle regioni tropicali dove l’insolazione è intensa i raggi ultravioletti causano lesioni cutanee che possono degenerare in cancri cutanei, anche mortali. In queste regioni è vantaggioso per l’individuo possedere una pelle scura, ricca di melanina che assorbendo i raggi ultravioletti svolge un ruolo protettivo.
I raggi ultravioletti hanno però anche un effetto benefico: convertono l’ergosterolo presente nel tessuto sottocutaneo in ergocalciferolo, un precursore della vitamina D, prevenendo il rachitismo. Per le popolazioni che abitano regioni temperate o nordiche, dove l’insolazione è meno intensa, e sono minori i rischi di sviluppare cancri cutanei, è vantaggioso produrre scarse quantità di melanina e avere la pelle chiara. Consegue che la pelle scura o chiara correla più con la latitudine alla quale la popolazione è adattata che con la sua remota origine genetica.
Si ritiene che le principali mutazioni responsabili del colore chiaro sarebbero apparse in Asia circa 20.000 anni fa e si sarebbero diffuse in Europa circa 10.000 anni fa. Queste stime sono piuttosto incerte perché il colore della pelle è determinato dalle varianti di molti geni che non sono comparse simultaneamente e le cui frequenze relative sono distribuite in modo complesso nelle varie popolazioni umane.
Per questo fin dall’inizio di questa serie non abbiamo usato come esempio della variabilità genetica delle popolazioni umane il colore della pelle, ma il gruppo sanguigno AB0, che è determinato dalle varianti di un singolo gene.