di Rispetto Per Tutti Gli Animali
In Italia vige un articolo di legge che consente ai cacciatori l’ingresso nei fondi privati, in palese contrasto alla nostra Carta Costituzionale, in particolare all’art. 3 (godimento di uguali diritti dinanzi alla legge), e l’art. 42 (garanzia e riconoscimento del diritto alla proprietà privata).
L’articolo di legge in questione è l’842 del Codice Civile, che recita: “Il proprietario di un fondo non può impedire che vi si entri per l’esercizio della caccia, a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia o vi siano colture in atto suscettibili di danno. Egli può sempre opporsi a chi non è munito della licenza rilasciata dall’autorità”.
L’articolo deriva dal regio decreto n. 262 del 1942, quindi frutto del carattere bellicista del regime fascista. Da qui è lecito affermare che tale norma, lesiva di due principi cardine della nostra Costituzione, sia più che mai anacronistica e priva di senso.
Finora i proprietari terrieri hanno potuto contrastare l’ingresso dei cacciatori nei loro fondi con la recinzione, come consentito dalla legge quadro sulla caccia, o dichiarando di praticare colture suscettibili di danno, ma in entrambi i casi sono costretti a farraginose e costose ottemperanze burocratiche.
In loro aiuto giunge una sentenza storica della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) in materia di caccia e proprietà privata (26 giugno 2012, Hermann vs. Germania), che sancisce una sorta di diritto all’obiezione di coscienza venatoria in favore del proprietario dei terreni che non intenda consentirvi l’esercizio della caccia. Ciò in virtù di un semplice e logico assunto: una legislazione nazionale non può impedire al proprietario di negare l’accesso al proprio fondo quando la caccia è considerata un’ingerenza sproporzionata di terzi nella propria sfera privata, soprattutto se tale pratica contrasta con le proprie convinzioni morali.
Detto ciò, esiste un unico modo per liberare i proprietari in modo radicale e definitivo dall’ingerenza dell’art. 842: abrogare la norma. Come? Con un referendum popolare.
Nel 1990 ci provarono per la prima volta Radicali, Verdi e altre forze politiche e ambientaliste, proponendo tre quesiti referendari: uno sulla disciplina della caccia, uno sul divieto dei pesticidi e uno, per l’appunto, sull’abrogazione dell’art. 842. In quell’occasione il quorum non fu raggiunto.
Nel 1997 il Partito Radicale, nel tentativo di perseguire un progetto da loro definito liberale e liberista, propose venti quesiti referendari riguardanti varie tematiche sociali. La corte Costituzionale ne avvallò sei, tra cui l’abrogazione appunto dell’art. 842. Ma anche in quell’occasione il quorum non fu raggiunto. Segnaliamo, però, che in entrambi i casi la maggioranza dei “Sì” dei cittadini italiani all’abrogazione della 842 fu schiacciante.
Nel successivo quarto di secolo nessuno ha più intrapreso questa iniziativa referendaria. Ed è lecito domandarsi perché non lo abbiano fatto proprio le grandi associazioni animaliste e ambientaliste, nonché quei partiti politici che, attraverso alcuni loro esponenti di spicco, membri del Parlamento Italiano, hanno sempre proclamato il diritto alla vita e al benessere degli animali un loro valore fondante.
Nel 2021 la nostra associazione Rispetto Per Tutti Gli Animali, fondata nel 2017, ha riproposto un referendum popolare per abrogare l’art. 842. Ha fatto esplicita richiesta di collaborazione alla raccolta firme alle suddette grandi associazioni animaliste, ricevendo un diniego o nessuna risposta. Non avendo raccolto il numero di firme di cittadini necessarie (500.000), ci ha riprovato nel 2023. Per la seconda volta, l’invito di collaborazione alle grandi associazioni animaliste è caduto nel vuoto e, nuovamente, il numero di firme necessarie non è stato raggiunto.
Quest’anno stiamo provando per la terza volta, con la chance in più dell’abilitazione della piattaforma messa a disposizione dal ministero della Giustizia, che consente ai cittadini di firmare on line, comodamente e gratuitamente tramite un proprio dispositivo.