Non è un caso se il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti da mesi insiste sulla necessità di prorogare la scadenza del Pnrr oltre l’orizzonte previsto inizialmente. Il collega Raffaele Fitto, in partenza per Bruxelles dove dovrebbe assumere il ruolo di commissario e forse incassare una vicepresidenza, non lascia in eredità solo una spesa ferma a 51,4 miliardi a fronte dei 194,4 previsti per l’Italia. La revisione concordata con la Ue nel 2023, che ha eliminato alcuni progetti, ne ha inseriti altri e ha prorogato scadenze altrimenti impossibili da rispettare, determina anche che il 62% degli investimenti dovrà essere finalizzato nei primi otto mesi del 2026. Periodo in cui, come emerge da un report della Corte dei Conti Ue incentrato sui ritardi negli investimenti dei Piani nazionali, l’Italia dovrà realizzare il 28% degli obiettivi (milestone e target) per ricevere il 19% dei fondi. “Uno sforzo improbo, per usare un eufemismo”, attacca Antonio Misiani, responsabile Economia del Pd. “Fitto lo sa ma fa il pesce in barile”. “Sarebbe necessario che il governo venisse in Parlamento a spiegarci come intende procedere e ovviare ai ritardi”, rincara il presidente dei senatori dem Francesco Boccia. Per Gaetano Pedullà, vicecapodelegazione del Movimento 5 Stelle al Parlamento europeo, il rapporto “è un atto di sfiducia nei confronti del candidato Commissario europeo Raffaele Fitto”.

Il confronto con gli altri partner Ue è indicativo: in media, per l’ultimo anno – la scadenza è il 31 agosto 2026 – si sono lasciati il 39% degli investimenti e il 14% delle riforme. Peggio dell’Italia fanno solo Polonia e Ungheria, con il 70% di investimenti da realizzare in extremis. “Molti paesi hanno realizzato innanzitutto le riforme prima di procedere con gli investimenti”, nota il rapporto. “È probabile che la concentrazione di questi ultimi verso la fine del periodo utile aggravi ulteriormente i ritardi e rallenti l’assorbimento” delle risorse. Il timore è quello di un ingorgo che renderà impossibile recuperare. E il rischio è quello che i fondi europei vadano persi visto che, ha ricordato la responsabile dell’audit Ivana Maletic, la normativa non prevede il recupero dei fondi se le misure previste alla fine non vengono completate.

In generale, gli auditor europei esprimono preoccupazione perché le richieste di pagamento presentate a fine 2023 sono “notevolmente inferiori” a quanto previsto negli accordi. Questo non vale per l’Italia, che a luglio ha ottenuto la quinta rata (pur non avendo raggiunto uno degli obiettivi) e presentato la richiesta di pagamento per la sesta. Il piano italiano viene comunque citato più volte come esempio di possibili problematiche emerse in fase attuativa. La Penisola aveva per esempio previsto di investire nello sviluppo di infrastrutture per la produzione di energia elettrica offshore, con il ricorso anche a tecnologie sperimentali che utilizzano le correnti e il moto ondoso per generare energia pulita. Dopo consultazioni pubbliche e di ulteriori indagini da parte delle autorità italiane è emerso che il processo di autorizzazione dei progetti beneficiari della misura era incompatibile con il periodo di attuazione del Pnrr e le autorità italiane hanno chiesto e ottenuto dalla Commissione l’eliminazione della misura.

Rispetto alla difficoltà di implementazione degli investimenti, gli auditor europei segnalano che “l’Italia ha completato una serie di riforme della pubblica amministrazione, anche in relazione alle procedure di assunzione, all’istituzione del sistema informatico per monitorare e gestire l’attuazione del Pnrr e la semplificazione delle procedure amministrative. Ha inoltre incluso un traguardo sull’aumento della capacità amministrativa delle autorità locali. Tuttavia, nel marzo 2023 l’istituzione superiore di controllo italiana ha rilevato difficoltà relative all’elevato avvicendamento del personale assunto e ha sottolineato che le procedure per l’attuazione del Pnrr erano complesse e molte autorità non disponevano ancora dell’organico necessario“. Un nodo ben noto al governo e lasciato irrisolto da concorsi che per la gestione del Piano offrivano posti a termine, meno appetibili di quelli a tempo indeterminato banditi da altre amministrazioni

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