Quando il 30 agosto la procura di Bergamo ha informato sul fermo del 31enne che ha confessato l’omicidio di Sharon Verzeni, la pm Maria Cristina Rota aveva spiegato che Moussa Sangare, prima di colpire a morte la 33enne, aveva minacciato due adolescenti. Ora sono stati identificati dai carabinieri di Bergamo i due minorenni che nella notte tra il 29 e il 30 luglio scorsi a Terno d’Isola, hanno incrociato Sangare. Erano stati minacciati ma non aggrediti perché l’uomo nel suo vagare era alla ricerca del “bersaglio più vulnerabile” da accoltellare. Ossia una donna sola. E per questo aveva aggredito Verzeni che passeggiava guardando le stelle e stava ascoltando musica con le cuffiette.

I ragazzini sono di Chignolo d’Isola, un comune limitrofo, e sono italiani. Uno dei due è già stato sentito e ha confermato quanto già emerso dalle indagini e dalla confessione di Sangare, ora in carcere per omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi. Il giovane testimone ha raccontato ai militari che il 30enne quella sera si è fermato, ha fatto degli apprezzamenti sulla sua maglietta e poi, andando via, ha mostrato loro il coltello con cui poco dopo ha assassinato Sharon. L’altro minorenne sarà convocato nei prossimi giorni.

Sangare è ora detenuto. Ieri il giudice per le indagini preliminari di Bergamo ha convalidato il fermo ed emesso un’ordinanza di custodia cautelare. Quella sera ha individuato la 33enne dopo aver scartato altri cinque possibili bersagli tra cui i due ragazzini e la vittima è stata assassinata “nella più totale assenza di qualche comprensibile motivazione, in maniera del tutto casuale, assolutamente gratuita, per non dire addirittura capricciosa”. Secondo la giudice, Raffaella Mascarino, l’indagato non ha problemi mentali per “la lucidità mostrata nell’adottare tutta una serie di accorgimenti sia nei momenti precedenti al delitto” – l’aver vagato in giro fino a incontrare il bersaglio più fragile – “e in quelli immediatamente successivi” – il correre in bicicletta lungo percorsi secondari, il ritornare indietro a raccogliere il berretto perso – e anche nei “giorni seguenti” – le modifiche alla bici o il taglio dei capelli – “evidenziano uno stato mentale pienamente integro“. Cosa confermata dai medici del penitenziario di via Gleno, da dove l’uomo è stato trasferito ad un altro carcere per motivi di incolumità, dopo che altri detenuti gli hanno lanciato bombolette incendiate: subito dopo il suo ingresso i medici lo avevano visitato senza rilevare “alcuna traccia di patologia psichiatrica né remota né recente”.

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