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Da Diabolik all’omicidio di Bellocco: quando il mondo ultras si intreccia con la criminalità

L’omicidio a Cernusco sul Naviglio del 36enne Antonio Bellocco, erede del casato mafioso di Rosarno, per mano di Andrea Beretta – capo storico della curva Nord dell’Inter e già fedelissimo di Vittorio Boiocchi, assassinato a sua volta il 29 ottobre 2022 – è stato solo l’ultimo di alcuni episodi che negli ultimi anni hanno visto intrecciarsi le strade del mondo degli ultras e della criminalità organizzata.

Il regno di Diabolik
Era il 7 agosto 2019 quando Fabrizio Piscitelli soprannominato “Diabolik”, storico leader della curva nord della Lazio che alla sua dedizione calcistica alternava quella al narcotraffico, fu ucciso con un colpo di pistola alla testa mentre era seduto su una panchina nel Parco degli Acquedotti di Roma. Per quella vicenda, c’è a processo Raul Esteban Calderon, considerato dalla procura di Roma un killer professionista al soldo degli uomini del boss Michele Senese. La militanza di Piscitelli negli ambienti del tifo organizzato laziale, tra le fila degli Irriducibili, portò Piscitelli a tentare la scalata al club biancoceleste attraverso una vera e propria campagna d’intimidazione nei confronti del presidente Claudio Lotito. Un’operazione per la quale Diabolik fu condannato, insieme ad altri 3 capi ultrà, a 3 anni e 6 mesi in primo grado. Attraverso il coinvolgimento dell’ex bomber e bandiera laziale Giorgio Chinaglia, Piscitelli tentò di far cedere il club ad un gruppo farmaceutico ungherese che sarebbe stato interessato all’acquisto. Nel febbraio 2015, era stato condannato in primo grado per “tentata e reiterata estorsione aggravata” proprio nei confronti del patron biancoceleste. Il 30 gennaio del 2000, in occasione di Lazio-Bari nell’annata dello scudetto vinto da Sven Goran Eriksson, fecero il giro del mondo le immagini dello striscione esposto in Curva nord in “onore alla tigre Arkan”: il riferimento era a Zeljko Raznatovic, criminale di guerra serbo accusato di genocidio e crimini contro l’umanità, morto in quei giorni.

Milan, il caso Luca Lucci
Anche la Milano sponda rossonera ha avuto la sua storia legata alla criminalità della Curva Sud. Questo il caso di Luca Lucci, capo ultras – già coinvolto in vicende di droga – finito in carcere nel dicembre 2021 in un’inchiesta della Squadra mobile (coordinata dal pm Leonardo Lesti) su un presunto traffico di droga, tra hashish, marijuana e cocaina. Dalle indagini era emerso che Lucci era stato “al vertice dell’organizzazione” pianificando “l’attività illecita senza mai partecipare attivamente”, ma “impartendo direttive attraverso il software Encrochat, installato su un telefono cellulare” con “utenza telefonica olandese”. Come scritto nell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari Fabrizio Filice, il capo della Curva Sud, che sul sistema criptato di chat aveva il nickname “belvaitalia“, per la “posizione di vertice” che ricopriva “nel traffico illecito” avrebbe intrattenuto “le relazioni con i narcotrafficanti esteri” in Brasile e in Marocco. Un software tecnologico che rendeva il capo ultras praticamente inattaccabile. Lucci, attualmente ai domiciliari dove sta scontando una condanna definitiva, era balzato agli onori delle cronache nel 2018 perché, già gravato di un patteggiamento per droga, aveva stretto la mano a Matteo Salvini, allora ministro dell’Interno, durante la festa della curva rossonera. Colpito tre volte dal Daspo, Lucci era anche stato condannato a 4 anni per l’aggressione nel 2009 a un tifoso dell’Inter, che perse un occhio e in seguito si suicidò.

La denuncia della Juve contro 12 capi ultras
Era l’autunno del 2019, quando la Procura di Torino – nella cosiddetta operazione Last Banner – smantellò una vera e propria associazione a delinquere gestita da dodici capi ultras della Juventus. L’indagine era partita da una denuncia della società bianconera che era stata minacciata dagli ultras dopo che aveva deciso di non concedere più una serie di privilegi. I gruppi esercitavano il ‘potere’ sulla curva attraverso intimidazioni ad altri Juve club, ma anche a singoli tifosi, allontanati dai posti assegnati. Le accuse furono di estorsione, autoriciclaggio, violenza privata, vendita illegale di biglietti. Tra tutti, i Drughi (il gruppo più numeroso) è quello che spiccava per la capacità di recuperare centinaia di biglietti in complicità con rivenditori compiacenti su tutto il territorio nazionale. Sciopero del tifo e cori razzisti, allo scopo di far multare la società, sarebbero state le ritorsioni attuate dai gruppi ultrà qualora non avessero visto esaudite le loro richieste.

Il milieu criminale di Boiocchi
Dopo l’uccisione di Antonio Bellocco è tornato in auge il nome di Vittorio Boiocchi, storico capo degli ultras dell’Inter assassinato sotto la propria abitazione alla periferia di Milano. L’omicidioavvenuto per mano di due motociclisti – era avvenuto poco prima dell’inizio della partita in casa dei nerazzurri contro la Sampdoria. Nella sua carriera criminale, aveva riportato un totale di 10 condanne definitive per reati di associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, associazione a delinquere finalizzata alla ricettazione, porto e detenzione illegale di armi, nonché rapina, sequestro di persona e furto. Tra le sue frequentazioni anche quelle con storici esponenti di Cosa Nostra al nord. Dopo che la notizia del suo omicidio era circolata la Curva Nord dell’Inter si era svuotata e centinaia di persone furono costrette, anche con la violenza, ad abbandonare gli spalti. Boiocchi faceva una vita praticamente fra carcere e stadio. Ha trascorso oltre 26 anni in cella, dal 1992 al 2018: l’ultima volta era stato arrestato nel 2021 dalla Squadra mobile milanese. Era stato anche raggiunto da cinque anni di Daspo a seguito degli scontri avvenuti dopo Inter-Napoli del 2018, l’occasione in cui morì l’ultras del Varese Dede Belardinelli.