Star dietro alla pubblicazione dei dati economici mensili e trimestrali può essere noioso. Ed è vero non sempre un decimale in più o in meno indica una tendenza. Ma ignorarli come fa Giorgia Meloni espone al rischio di dire cose non vere. È successo lunedì sera durante l’ospitata a 4 di sera su Rete 4 e di nuovo mercoledì, quando la premier ha pronunciato la sua relazione introduttiva all’esecutivo di Fratelli d’Italia. “L’Italia sta crescendo più di altre Nazioni europee, nonostante il rallentamento dell’economia mondiale e la situazione internazionale”, ha detto Meloni secondo le agenzie. “I dati macroeconomici – pil, occupazione, export, investimenti, ecc. – sono estremamente positivi e sono un segnale di grande fiducia“. Dell’occupazione abbiamo scritto ieri: i dati assoluti sono da record ma sulla qualità di quei posti i numeri sollevano diversi dubbi. Per non dire che il rapporto tra persone che lavorano e forze di lavoro potenziali resta il più basso della Ue. Su pil e export le cose non vanno bene come afferma la premier.

Le cifre più aggiornate dell’Istat mostrano che, dopo un primo trimestre oltre le attese, nel secondo trimestre 2024 il prodotto italiano è cresciuto solo dello 0,2% contro una media Ue dello 0,3%. La Francia ha fatto +0,3% e la Spagna +0,8%, meglio della Penisola. Mentre la Germania che da tempo arranca è arretrata dello 0,1%. Non solo: il raffreddamento dell’inflazione sta iniziando a far sentire i suoi effetti sui conti pubblici in una forma assai sgradita al ministero dell’Economia, che sta mettendo a punto il Piano strutturale di bilancio di medio termine da presentare alla Ue entro il 20 settembre. Se fino al primo trimestre la crescita del pil nominale, quello cioè che tiene conto del livello dei prezzi, era spinta proprio dall’inflazione, ora la tendenza si è invertita tanto che il pil “a prezzi correnti” è diminuito dello 0,4%. Una pessima notizia visto che quello è il denominatore su cui vanno calcolati i rapporti debito/pil e deficit/pil.

Elaborazione di Ref ricerche

Citare le esportazioni nell’elenco dei successi, poi, pare una mossa azzardata. Sempre nel secondo trimestre sono diminuite dell’1,5% rispetto a quello precedente soprattutto a causa di una contrazione dell’export di beni. E la domanda estera netta ha dato un contributo negativo alla variazione del pil. Escludendo i servizi, trainati dal saldo dei viaggi per turismo, un’analisi di Ref ricerche ha rilevato un calo delle vendite estere soprattutto verso i mercati Ue (-2,4% anno su anno) ma anche fuori dai confini del Vecchio continente (-1,2%). A crollare sono stati soprattutto i mezzi di trasporto (-10,1% annuo) e il tessile abbigliamento, orgoglio del made in Italy (-6,9%).

Quanto agli investimenti, la crescita c’è stata, per quanto modesta (+0,3%). A trainarla gli investimenti pubblici legati ai progetti del Pnrr. Ma quelli in abitazioni hanno invece fatto marcia indietro a causa del “venir meno a partire da quest’anno delle elevate percentuale di sgravio fiscale connesse al superbonus, che ha ridimensionato in maniera molto marcata il ricorso agli incentivi”, annota Ref ricerche.

La società indipendente, nella sua analisi sui dati di contabilità nazionale, evidenzia poi un tassello non secondario che Meloni ha omesso: tra aprile e giugno “il valore aggiunto dell’industria manifatturiera si è ridotto dell’uno per cento rispetto al primo trimestre dell’anno e dell’1,2 per cento in termini tendenziali, proseguendo una fase di debolezza iniziata a partire dal 2022, e innescata da una serie di fattori, quali la crisi energetica, il fatto che la ripresa post-Covid abbia interessato maggiormente i consumi di servizi piuttosto che di beni, gli effetti dell’aumento dei tassi di interesse sul ciclo degli investimenti e dei consumi di beni durevoli”. Da lì non arrivano “segnali di fiducia”.

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