Appuntamento alle 11.30 a Piazza Municipio a Napoli. Siamo in tanti a metterci la faccia e l’anima. Continuiamo una battaglia di civiltà nel nome di GioGiò. Lui ci sarebbe stato in prima linea, lui che fino all’ultimo ha difeso un amico, per un parcheggio dello scooter, proprio lì a pochi passi. Manca il sindaco (ha mandato un delegato) e la targa commemorativa sul luogo dell’omicidio a tradimento da inchiodare sul muro e sulle coscienze di chi deve proteggere i nostri figli. Ancora non è pronta.

Le istituzioni se la squagliano subito per non sciogliersi sotto il sole di 38 gradi. La piazza di basalto nero è una graticola ma i musicisti della Orchestra Scarlatti junior che adesso porta il suo nome Giovanbattista Cutolo resistono e accompagnano il corteo fino all’hamburgheria dove é avvenuto il fattaccio e abbassa la saracinesca. Sinfonia di corni, lo strumento del quale GioGiò era un virtuoso, vietato piangere. La madre di Giogio’ tiene in mano un poster del figlio sorridente, sotto la scritta “Nessuno dimentica”. E invita la piazza a ballare. Nessuno se la sente. Daniela Di Maggio trova la forza nel dolore immenso e lo trasforma in battaglia: “Giogio’ è vivo. Attenzione agli zombie intorno a noi che ammazzano i vostri figli. Napoletani svegliatevi…”.

Nelle stesse ore un ragazzo di 20 anni, Gennaro Ramondini, legato alla criminalità locale, veniva giustiziato e dato alle fiamme. Mentre il padre del killer di Giogio’ il giorno prima della commemorazione era già pronto a guastare la festa/corteo e si rivolgeva all’onorevole Francesco Borrelli, paladino della lotta per la legalità, con minacce camorristiche in una sorta di rivendicazione pubblica di essere il padre del bastardissimo. Sì, proprio lui che a poche ore dal brutale omicidio aveva chiesto scusa alla famiglia invece adesso alza il dito medio contro Borrelli.
“Perché so sparare così bene? A Capodanno compravamo le pistole e sparavamo”, rispose al giudice con tono gelido il killer 17enne che dopo aver lasciato GioGio’ in un lago di sangue, tre colpi a tradimento e tumefatto in volto, era andato a giocare a carte.

Condannato a 20 anni che tra sconti di pena e buona condotta (che a 13 anni accoltellò un suo coetaneo ed evitò il carcere per tentato omicidio solo perché era minorenne) tra dieci anni potrebbe ritornare libero. “Adesso in carcere fa un corso di pasticceria, ma un topo di fogna se lo metti su un albero non diventa un canarino… La legge del 1988 sui minori era una sciatteria, era inadeguata perché il minore di oggi non è quello degli anni 80. Oggi nei quartieri che sembrano il Bronx gira armato, spaccia droga e semina morte”, e come una leonessa ferita Daniela l’ha fatta modificare.

Il padre di Giogio’, Franco Cutolo, regista di nicchia, continua a denunciare i “guasti “ della città. E non solo. E’ un pugno nello stomaco, il suo corto La Leggenda del Mare, potente testimonianza delle tragedie dei migranti, fuggiti dai loro paesi crivellati, vengono da lontano senza meta e senza dove, hanno calpestato la sabbia rovente del deserto, hanno divorato le galere infestate dai pidocchi. Sono state violentate, stuprate e torturate davanti ai figli. Alla fine vendute come carne da macello ai trafficanti della morte. “Ho pensato alla morte. Ma la vita mi voleva con sé”, dice un sopravvissuto.

Daniela e Franco sono dei sopravvissuti al dolore inimmaginabile e hanno cura del ricordo/sacrificio del loro ragazzo, medaglia d’oro al Valore, per la costruzione di una Napoli più vivibile. Ma la strada è ancora molto, molto lunga e tortuosa…

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