Le proteste dei benzinai bloccano la riforma della rete di distribuzione dei carburanti. Il disegno di legge era pronto e atteso all’esame del consiglio dei ministri di mercoledì dopo oltre un anno di confronto con gli operatori del settore al ministero delle Imprese e del made in Italy. Ma nel comunicato finale che dà conto dei provvedimenti approvati non ce n’è traccia: dovrà essere modificato.

Durante la giornata le organizzazione dei gestori avevano minacciato la serrata di tutti gli impianti e manifestazioni contro quella che definiscono “la più incauta e peggior riforma da quando in questo paese sono cominciati i rifornimento ai veicoli”. Un testo che ci “distrugge per premiare le compagnie petrolifere che nel corso degli ultimi 3/5 anni hanno chiuso bilanci con utili mostruosi, anche a scapito dei margini dei gestori e sulle spalle dei clienti”, lamentano Faib Confesercenti, Fegica e Figisc/Anisa Confcommercio, che criticano la precarizzazione dei contratti tra compagnie e i gestori: avrebbero durata di 5 anni ma potrebbero essere disdetti con 90 giorni di preavviso. Nel mirino anche la cancellazione dell’obbligo di esporre il differenziale fra prezzo self e servito “che, a spanne, vale oltre 1 miliardo di euro per le compagnie” e il meccanismo previsto per incentivare le bonifiche.

Unem, associazione delle aziende del settore petrolifero, dal canto suo difende il testo definendolo “un passo importante per la razionalizzazione della rete”. Favorevole anche l’associazione dei consumatori Assoutenti secondo cui “le linee essenziali del provvedimento prevedono misure tese a migliorare la distribuzione degli impianti sul territorio e aumentare i profitti degli operatori” e “gli incentivi per la trasformazione degli impianti in stazioni dedicate alla mobilità green e le misure in favore dei carburanti bio rappresentano un importante passo verso l’ambiente e la sostenibilità”. L’Unc sospende il giudizio e chiede che non si riduca la concorrenza.

Il ddl mira, in generale, a qualificare i punti vendita, regolare i loro rapporti con le aziende petrolifere e accompagnare la riconversione verso la mobilità verde. Una bozza prevede incentivi fino a 60mila euro coprire il 50% delle spese per le colonnine di ricarica e un Fondo per la trasformazione della rete carburanti verso la mobilità elettrica, con una dotazione di 47 milioni di euro l’anno per il 2025, il 2026 e il 2027. Nei nuovi impianti, dal primo gennaio 2025, sarebbe necessario prevedere la distribuzione di “almeno un altro vettore energetico alternativo ai combustibili fossili“, come i biocombustibili o le colonnine elettriche altrimenti non saranno rilasciate autorizzazioni. Al cessare di questo requisito decadrebbero anche i permessi, così come in caso di gravi inadempienze degli obblighi di legge.

Una stretta alle autorizzazioni riguarderebbe anche la richiesta di dimostrare “capacità tecnico-organizzativa ed economica necessaria a garantire la continuità e la regolarità nell’espletamento del servizio”, l’insussistenza di condanne con sentenza definitiva e il rispetto della legislazione in materia contributiva, con il documento unico di regolarità contributiva (Durc). Verifiche approfondirebbero anche la documentazione antimafia.

Pd e Cinque stelle definiscono la riforma “un disastro”. Per il deputato dem Vinicio Peluffo, il testo è “sembra costruito apposta contro gli operatori e i consumatori arrivando alla follia dell’eliminazione della differenza tra il prezzo del carburante servito e quello self”.

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