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La Francia chiede un cambiamento, ma Macron sceglie come premier il dinosauro (ed ex consigliere di Sarkozy) Michel Barnier

La Francia chiede un cambiamento. Chi guardando all’estrema destra nazionalista di Marine Le Pen, chi invece alla sinistra socialista di Glucksmann e Mélenchon. Ma il presidente Emmanuel Macron decide di puntare in direzione opposta e nomina nuovo primo ministro non un esponente del Nuovo Fronte Popolare vincitore alle ultime elezioni, che aveva proposto Lucie Castets, né una figura alternativa che tenga insieme le anime della sinistra e quelle più moderate, compreso il suo partito. No, per guidare il governo Macron ha pensato a Michel Barnier: Repubblicano, uomo dei Palazzi con una lunga carriera all’interno delle istituzioni europee, dove si è distinto per essere stato nominato capo negoziatore per l’Ue sulla Brexit. Il passaggio di consegne con Gabriel Attal è previsto per le 18. “Il presidente della Repubblica ha nominato Michel Barnier primo ministro. L’ha incaricato di costituire un governo di unità al servizio del Paese e dei francesi – scrive la Presidenza – Questa nomina arriva dopo un ciclo inedito di consultazioni nel corso delle quali, in conformità al suo dovere costituzionale, il presidente si è assicurato che il premier e il governo che verrà soddisferanno le condizioni per essere il più stabile possibile e avere le possibilità di unire il più ampiamente possibile”.

Il ‘dinosauro’ cresciuto tra Parigi e Bruxelles
Se il Paese chiedeva una ventata di cambiamento, l’ex mister Brexit rappresenta esattamente l’opposto. Esponente dei Repubblicani, un partito che ha ottenuto appena 63 seggi su 577 nel nuovo Parlamento e che ha vissuto una grave spaccatura interna dopo la decisione unilaterale dell’ex presidente Éric Ciotti di accordarsi col Rassemblement National di Marine Le Pen, Barnier è deputato dal 1978. In patria è stato due volte ministro, all’Ambiente e agli Affari Europei, e consigliere dell’ex presidente Nicolas Sarkozy, ma gran parte della sua carriera recente si è svolta fuori dal Paese, a Bruxelles. Per le Presidenziali del 2022 si era candidato alle primarie del suo partito, ma con risultati deludenti, chiudendo come terza scelta su cinque.

In Europa, invece, è gradualmente diventato un punto di riferimento per il Partito Popolare Europeo come commissario per le Politiche Regionali nella Commissione Prodi e con le deleghe al Mercato Interno e poi anche all’Industria con José Manuel Barroso. Barnier si è poi preso il palcoscenico come capo negoziatore per l’Ue, nominato da Jean-Claude Juncker, di uno dei passaggi storici e più traumatici della storia europea: l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione.

In quest’ultima veste ha condotto le trattative e il complicato braccio di ferro con gli omologhi britannici durati ben cinque anni. Da quel momento, la sua parabola politica ha subito una discesa veloce e inesorabile, soprattutto dopo il pessimo risultato alle primarie del suo partito. Oggi, con una Francia sempre più polarizzata, con la sinistra che ha cercato di andare incontro alle richieste di Macron nel tentativo di arrivare alla nomina di Castets, il presidente fa muro e nomina un esponente del centro-destra. Una decisione che gli costerà, di nuovo, accuse di gestione autoritaria del potere e che, soprattutto, dovrà passare dall’approvazione dell’Assemblea. Il voto dei deputati, per Barnier, vale una carriera: può riportarlo improvvisamente al centro della politica francese o decretarne la fine definitiva.

Ira di Mélenchon: “Mobilitazione popolare”. I lepenisti aprono
L’annuncio ha immediatamente scatenato la reazione del leader di La France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon, che nei giorni scorsi, additato come l’ostacolo alla formazione di un governo Castets, aveva offerto il sostegno del suo partito anche senza ministri. Una proposta respinta dal presidente. “Michel Barnier non viene dal Nuovo Fronte Popolare che ha vinto le elezioni, ma da un partito che ha preso meno voti di tutti. L’elezione è stata rubata“, ha detto Mélenchon. Per il leader del partito di sinistra “è in corso una negazione della democrazia. Esorto alla mobilitazione più massiccia possibile per la manifestazione del 7 ottobre”.

Anche l’esponente dell’ala sinistra del Partito Socialista, Olivier Faure, parla di “un diniego democratico portato al suo culmine. Un primo ministro proveniente da un partito che si è piazzato quarto e che non ha nemmeno partecipato al fronte repubblicano. Entriamo in una crisi di regime“.

Molto più morbida la posizione del presidente del Rassemblement National, Jordan Bardella, secondo cui il suo partito “giudicherà il discorso di politica generale” del nuovo premier, Michel Barnier, prima di decidere se voterà o no la sfiducia al suo governo. “Noi chiederemo che le emergenze dei francesi, il potere d’acquisto, la sicurezza, l’immigrazione, siano finalmente affrontate – ha scritto Bardella su X – e ci riserviamo qualsiasi strumento politico di azione se così non sarà nelle prossime settimane”. Marine Le Pen promette comunque che il suo partito “esigerà che il nuovo capo del governo rispetti gli 11 milioni di francesi che hanno votato per il Rassemblement National e che rispetti le loro idee”.

X: @GianniRosini