Dopo mesi di trucchi e intrighi, il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron ha tirato fuori dal suo cappello, che aspira ad essere corona regia, un logoro pupazzo: Michel Barnier.
Dopo aver rifiutato di affidare il governo alla sinistra del Nuovo Fronte Popolare, perché non avrebbe una maggioranza sicura pur partendo da quasi 200 parlamentari su 577, Macron ha affidato l’incarico a Barnier, che fa parte di un gruppo di destra che conta appena 39 eletti. Questo disprezzo ipocrita e truffaldino del senso profondo della democrazia è la caratteristica di fondo del presidente francese e della sua politica.
Macron ha potuto eleggere i suoi parlamentari grazie alla desistenza a loro favore della sinistra, compresa la France Insoumise di Jean Luc Melenchon, per sconfiggere il neofascismo di Marine Le Pen; è bene sottolineare che in Francia chiamano ancora i fascisti con il loro nome.
Poi però, un minuto dopo il voto, il baro ha cercato l’appoggio della destra, di tutta la destra, per un suo governo. Invece che il fronte comune contro la destra reazionaria, Macron invocava l’unione di tutti contro la sinistra popolare e pacifista. Però questa manovra non gli è riuscita, a sinistra socialisti e verdi hanno retto alle lusinghe della rottura con Mélenchon, a destra Le Pen, pur tentata dal fronte reazionario, lo ha ritenuto prematuro. Per tutti ha contato il disprezzo e a volte il vero e proprio odio che l’80% del popolo francese riserva per il presidente.
Così Macron ha dovuto ricorrere ad un vecchio arnese della tecnocrazia liberista europea, Michel Barnier. Un burocrate che per anni ha navigato tra le politiche di austerità della Ue e che si è davvero confrontato con la democrazia una sola volta. Quando nel 2005, per conto dell’allora presidente Jacques Chirac, guidò la campagna per il sì al referendum indetto sulla costituzione europea. Il popolo francese rispose con un solenne no e Barnier fu inviato a fare il burocrate nella commissione Ue, dove di vera democrazia non c’è alcun bisogno perché, come disse Mario Draghi, decide tutto il pilota automatico di banche e finanza.
Ora questo burocrate reazionario dovrà formare il governo di Macron, governo che potrà restare in carica anche senza la maggioranza parlamentare almeno per un anno, perché la costituzione francese vieta di svolgere elezioni politiche fino alla prossima estate. Insomma quello di Macron è un vero e proprio golpe bianco, un tradimento profondo del senso e dei sentimenti espressi dal voto, un atto che, come giustamente e ha ricordato Mélenchon, richiama i veti di Luigi XVI alle decisioni del parlamento francese nel 1790.
Questa crisi politica e istituzionale avrà conseguenze radicali in Francia, nel parlamento, dove si dovrà votare l’impeachment di Macron chiesto da Mélenchon; e nel paese, dove dal 7 settembre si scenderà in piazza contro il presidente che vuol farsi re.
Ma le conseguenze del golpe macronista si estenderanno in Europa e da noi.
Queste scelte politiche del presidente francese mostrano con chiarezza che il liberalismo europeo, di cui Macron è il primo esponente, marcia sempre più nettamente verso la destra, l’autoritarismo e il neofascismo. Con la guerra in Ucraina la discriminante antifascista in Europa si è dissolta in quella antirussa. Se i fascisti e i reazionari sono antirussi, allora diventano perfetti democratici, dal battaglione Azov ai governanti italiani, olandesi, cechi e così via. Se invece non sono antirussi, come forse i fascisti tedeschi e Orban, allora sono bollati come pericolo per la democrazia. Si crea così un ambiente politico guerrafondaio in politica estera e liberista in politica economica, nel quale liberaldemocratici, conservatori e neofascisti sono sempre più vicini.
Il genocidio israeliano a Gaza ha accelerato questo avvicinamento. L’accusa di antisemitismo verso la sinistra che sostiene la causa palestinese unisce Meloni, Le Pen, il razzista olandese Wilder a Scholz, Macron e a tanti liberali sempre più complici di Netanyahu. Le politiche di respingimento e riduzione dei diritti verso i migranti sono comuni a tutti i principali governi europei. Prima delle elezioni politiche Macron aveva fatto approvare una legge sull’immigrazione che aveva avuto il plauso di Le Pen, mentre su questo tema Ursula von der Leyen è in completa sintonia con Giorgia Meloni e il cancelliere tedesco Scholz, dopo il voto regionale che ha visto l’avanzata dei fascisti di AfD, ha cominciato ad accennare alla deportazione in Ruanda dei migranti non in regola. La persecuzione dei migranti, la guerra alla Russia e il sostegno a Israele sono un veicolo fondamentale della fascistizzazione dall’Europa, ma anche le politiche economiche giocano un ruolo determinante.
Dopo la breve pausa della pandemia le politiche di austerità liberista, che hanno dominato il continente dagli anni Novanta, sono tornate con il nuovo patto di stabilità. Patto sottoscritto e accettato anche dal governo Meloni e da Salvini, nonostante i proclami sovranisti della campagna elettorale.
Del resto in Francia Marine Le Pen aveva ammesso che, se avesse formato il governo, avrebbe accettato la controriforma delle pensioni di Macron, smentendo anni di propaganda elettorale. Sono convinto che se ci fosse stata la coabitazione al governo tra la destra neofascista e Macron (come forse lo stesso presidente francese voleva), Le Pen sarebbe stata melonizzata in senso euroatlantico e liberista.
Il governo Meloni in Italia è un pedissequo continuatore dell’agenda Draghi, con la fedeltà assoluta alla politica di guerra della Nato e a quella di austerità della Ue, e la destra reazionaria francese si sta muovendo sulla stessa via. Dalla Francia giunge dunque una lezione chiara: i liberali euroatlantici non solo non sono alternativi al neofascismo, ma lo alimentano e sempre più spesso convergono con esso. Il liberal-fascismo di Macron dovrebbe insegnare, in particolare a chi è contro il governo Meloni, che non si costruisce l’alternativa alla destra assieme a Renzi e a tutto il sistema politico-mediatico che sta con il presidente francese.