“Quando si sono addormentati sono sceso, ho preso una maglietta nera e l’ho divisa a metà per impugnare il coltello, perché avevo intenzione di pulire il coltello per fare incolpare altri”. Inizia così il film della strage di Paderno Dugnano (Milano) nelle parole del 17enne che ha confessato l’omicidio del padre Fabio, della madre Daniela e del fratellino Lorenzo di 12 anni con cui poco prima aveva giocato alla Playstation.

La scansione dei tempi e delle decisioni, le 39 coltellate, il fratello ucciso nel letto, i genitori che si accasciano al suolo sotto i colpi di coltello. Nel primo interrogatorio di domenica il ragazzo ha fornito alla procuratrice dei minorenni Sabrina Ditaranto e al pm Elisa Salatino diversi nuovi elementi per ricostruire l’accaduto. “La descrizione che ho fatto alle forze dell’ordine non è corretta”, ha detto il 17enne, che in una prima versione aveva riferito di aver ucciso il padre dopo che questi aveva ucciso la mamma e il fratello. La strage, ha confessato, l’ha compiuta lui.

“Anch’io sono andato a dormire con loro – ha raccontato -, ma sono stato sveglio ad aspettare che loro si addormentassero. Quando si sono addormentati, sono sceso, ho preso una maglietta nera e l’ho divisa a metà per impugnare il coltello perché avevo intenzione di pulire il coltello per far incolpare altri”. “Sono andato di sopra – ha proseguito -. Ho sferrato diverse coltellate a mio fratello, alla gola e all’addome”. “Era sul letto, girato sul lato sinistro verso la finestra. Lui mi dava la schiena. La prima coltellata l’ho data alla gola. Lui si è svegliato e ha urlato ‘papà’. Io gli ho tappato la bocca e ho sferrato diverse coltellate. Sono andato in camera dei miei genitori”.

Il racconto dell’abisso prosegue: “Loro hanno acceso la luce, io ero davanti a loro con il coltello in mano. Loro mi hanno detto di stare calmo, sono venuti in camera con me e lì li ho aggrediti. Non ricordo chi ho aggredito prima, ma credo che mia mamma sia stata la prima, perché poi si è accasciata a terra”. Quindi è stata la volta di Fabio: “Mio padre mi ha chiesto di lasciare il coltello. L’ho fatto e mi ha detto di chiamare il 118. A quel punto, mio padre è andato verso mio fratello e allora gli ho dato un colpo alla schiena. Siccome stava ansimando, l’ho colpito alla gola perché stava soffrendo. Ho colpito ancora anche mia madre perché non volevo che soffrissero più”.

“È stata la sera della festa (di compleanno del padre, ndr) che ho pensato di farlo, non avevo ancora ideato questo piano, però avevo pensato di usare comunque il coltello perché era l’unica arma che avevo a disposizione in casa. Se ci avessi pensato di più non l’avrei mai fatto, perché è una cosa assurda”. Che al momento costa al ragazzo, studente di liceo che aveva rimediato un debito in matematica, un’accusa di triplice omicidio premeditato e per cui il giudice per le indagini preliminari ha convalidato il fermo sottolineando la “singolare ferocia“.

Riguardo all’enigma sul movente, le parole del giovane girano ancora attorno a quel malessere per il quale lui voleva trovare una “soluzione”. Ha raccontato che già da “qualche anno” aveva maturato “l’idea di vivere più a lungo delle persone normali, anche per conoscere il futuro dell’umanità”. “Nella mia logica – ha spiegato riferendosi al triplice omicidio -, credevo che dopo aver fatto una cosa del genere, sarei stato più forte nell’affrontare la mia vita. Avrei voluto fare il volontario in Ucraina e forse dopo questi omicidi sarei stato più libero, avrei affrontato meglio la guerra… Ho iniziato a desiderare di vivere in libertà durante i mesi estivi. Ero un po’ a disagio. Nel vivere quotidianamente, mi sentivo estraneo anche con altre persone. Non ne ho parlato con nessuno. Anche con i miei amici mi sentivo estraneo… è da questa estate che sto male, ma già negli anni scorsi mi sentivo distaccato dagli altri. Forse il debito in matematica può aver influito”. “Ogni tanto i miei genitori mi chiedevano se c’era qualcosa che non andava – ha detto ancora -, perché mi vedevano silenzioso, ma io dicevo che andava tutto bene”.

Nelle relazioni, allegate agli atti, di psicologi, che si stanno occupando del suo caso, si mette in luce che il ragazzo parla di un “clima competitivo” che c’era in famiglia, ma anche nello sport e più in generale nella società. Un “clima relazionale – scrivono – percepito come critico e competitivo”. Delle ultime sue vacanze estive, con familiari e amici, dice che erano state “serene”, o almeno così le ha descritte. In famiglia, ha detto ancora nei colloqui, “se c’era il pretesto di litigare io cercavo di non farlo”. Ha riferito di non ricordare alcun “episodio di conflittualità con i propri famigliari”. E ha raccontato che quell’estate leggeva libri sulla “seconda guerra mondiale” e pensava, anche quando sentiva i propri familiari lamentarsi per “cose materiali”, “che c’erano altri che pativano sofferenze maggiori”.

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