Il 30 agosto, a Maglie, in piazzetta Martiri di via Fani, sotto al monumento di Aldo Moro, è stato presentato il libro Il bivio di Dino Greco; con l’autore hanno parlato Gero Grassi, Dario Massimiliano Visconti e Alessandro Gaeta, tutti con notevoli esperienze dirette sul caso Moro. Il rapimento, l’uccisione della scorta e, dopo lunga detenzione, l’assassinio di Aldo Moro sono stati ricostruiti minuziosamente e collocati nel contesto storico-politico dell’epoca.

Il libro è ponderoso e non sono ancora riuscito a leggerlo. Faccio quindi una figura alla Sangiuliano, parlando senza averlo letto. Però ne ho sentito il sunto fatto dall’autore e da chi del libro ha parlato, avendolo letto. Tutti concordano che l’omicidio Moro abbia cambiato le sorti del paese (il bivio), e che sia stata la conferenza di Yalta a decidere la posizione dell’Italia: siamo stati collocati sotto l’area di influenza degli Stati Uniti e la nostra sovranità era limitata. E’ stato ricordato l’incontro di Moro con Henry Kissinger, quando Kissinger lo avvertì di desistere dalle sue aperture verso il Pci o ne avrebbe pagato le conseguenze. Moro non voleva il Compromesso Storico, progettato da Berlinguer. La sua visione prevedeva, invece, l’alternanza al governo tra la Dc e il Pci. L’assuefazione al potere non era un bene per la Dc e Moro auspicava una democrazia compiuta, in cui si potesse “andare” in una direzione oppure in un’altra, a seconda degli esiti elettorali.

Quella visione, se attuata, avrebbe cambiato le sorti del paese che, quindi, si trovava ad un bivio. Moro fu ucciso e la strada che aveva prefigurato fu sbarrata. Sono state evocate le molte intrusioni dei servizi segreti, della P2 e di altre forze oscure per direzionare quel rapimento verso l’esito che ebbe. Se Moro avesse avuto modo di portare a termine il suo progetto, forse le cose sarebbero cambiate. Ma la storia non si fa con i se.

L’incontro è durato a lungo e due ore sono passate in un lampo. Greco ha analizzato le fonti storiche e le ha collegate, basando il libro non su opinioni ma su fatti documentali. La deviazione delle Br dalle iniziali intenzioni volute da Renato Curcio alla lotta armata e all’omicidio politico perseguiti da Mario Moretti, però, è avvolta nelle nebbie di molte dichiarazioni e testimonianze discordanti, e molte cose “non tornano”. La strategia della tensione criminalizzava il dissenso di sinistra e stimolava una tendenza verso “legge e ordine”, rinforzata dalle stragi fasciste: gli opposti estremismi direzionavano verso il “centro” (la Dc) una parte significativa dell’elettorato.

Ho vissuto quei momenti da testimone, visto che molti eventi si sono svolti nella mia città, Genova. Dall’assassinio del Procuratore Francesco Coco, avvenuto a pochi passi dal portone dell’Università dove mi recavo quotidianamente, allo scandalo dei petroli dei procuratori d’assalto, per non parlare dell’operazione di Polizia che portò all’annientamento della cellula Br in Via Fracchia, e il rapimento di Mario Sossi. Ero troppo preso dai miei studi di biologia marina per continuare a partecipare attivamente alla politica, ma cercavo comunque di capire.

Durante il servizio militare, nel 1976, fui testimone di un tentativo di colpo di stato nel caso che il Pci avesse vinto alle elezioni. La mia opinione, per quel che vale, è che non ci fu nessun bivio, con l’assassinio di Moro. I binari della storia convergevano parallelamente a determinare la nostra posizione nello scacchiere internazionale. Se il Pci avesse vinto le elezioni ci sarebbe stato il colpo di stato e, probabilmente, la guerra civile. Ma l’Urss non sarebbe venuta ad “aiutarci”. Come gli Usa non aiutarono Ungheria, Cecoslovacchia etc. dai carri armati russi. Non era pensabile che l’Italia fosse governata dal Pci, con forti legami con Mosca, come aveva ribadito Kissinger. Se avessimo intrapreso la strada auspicata da Moro (una vera democrazia) ci saremmo trovati a fronteggiare eventi simili a quelli del Cile, o della Grecia.

Dopo l’evento, a cena con l’autore e i partecipanti sul palco, ho avuto modo di dire la mia. Non c’è stato bisogno di colpi di stato perché il Pci non ha mai vinto le elezioni, e questo è stato realizzato con il massiccio voto del sud, che ha sempre premiato la Dc. Il consenso è stato acquisito grazie al clientelismo, ai favori elettorali, all’alleanza con la malavita organizzata, di cui Moro era consapevole. Quella strategia ha avuto successo, assieme alla paura degli estremisti che spostava il voto benpensante verso la Dc, e che spingeva Indro Montanelli a consigliare di “turarsi il naso” e votare un partito che puzzava di corruzione e di collusione con la mafia. Meglio quello che un colpo di stato e una guerra civile.

Col senno di poi, penso che sia andata bene così, anche se questo sistema di creazione del consenso ha dissestato le finanze del paese e ha messo il sud alla mercé del clientelismo, impedendone il riscatto sociale ed economico. Il bivio avrebbe potuto esserci dopo la caduta dell’Urss e, da noi, Mani Pulite. L’avvento di Silvio Berlusconi, realizzatore del programma della P2, impedì il compimento della democrazia, cavalcando ancora lo spettro dell’anticomunismo, per non parlare delle collusioni mafiose. Tutto questo, però, non avvenne per “ragion di stato” ma per interessi economici. Contemporaneamente, il Pci fu sciolto e democristianizzato nel Pd attuale.

Ed eccoci qua, con lo sdoganamento della destra-destra e la realizzazione di un disegno politico che ci porta indietro nella storia. Non un bivio, ma un’inversione di marcia.

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