Quando Le Monde svelò il caso al mondo, i nomi di vittima e carnefice furono omessi o inventati. Troppo orrore suscitava la storia di una donna, drogata dal marito, che poi reclutava uomini che la stupravano. Violenze a cui lui partecipava e/o filmava “a sua insaputa” come scriveva. Ma lei non solo ha deciso di testimoniare al processo, ma anche chiesto che il suo nome sia fatto perché le donne vittime di abusi trovino il coraggio di denunciare e ha chiesto che il processo – iniziato tre giorni fa – fosse a porte aperte. “Francamente, queste sono scene di orrore per me: mi trattavano come una bambola di pezza” ha detto Gisele Pelicot davanti ai giudici di Avignone che processano il marito Dominique Pelicot.
Una testimonianza di 90 minuti in cui la donna racconta la mostruosità di quei video mostrategli dalla polizia che le hanno svelato la “barbarie” a cui per 10 anni è stata sottoposta. Parlando di fronte a cinque giudici ha spiegato che aveva trovato il coraggio di guardare il filmato solo a maggio. E ha raccontato dei suoi misteriosi problemi di salute di cui non capiva la causa. Per anni, ha detto, aveva avuto strani vuoti di memoria e altri problemi di salute e pensava che potesse avere l’Alzheimer. “Parlo per ogni donna che è stata drogata senza saperlo: sto riprendendo il controllo della mia vita per denunciare i rischi della sottomissione chimica”. E ha insistito affinché il processo si svolga pubblicamente per mettere in guardia tutte le donne. Dopo la testimonianza la sua famiglia ha fatto sapere tramite il loro avvocato che si poteva pubblicare anche il cognome della 71enne proprio perché questo processo serva ad altre vittime.
“Sono stata sacrificata sull’altare del vizio”, ha detto davanti alla Corte d’Assise del Vaucluse, ad Avignone, “quando vedete questa donna, drogata, abusata, una donna morta su un letto, naturalmente il corpo non è freddo, è caldo, ma io sono come morta. Questi uomini mi profanano, si approfittano di me. Nessuno di loro pensa che stia succedendo qualcosa”, ha aggiunto, ricordando il 2 novembre 2020, giorno in cui ignara fu convocata con il marito al commissariato di Carpentras e dove vide le prove delle violenze ai suoi danni, documentati dal consorte. L’uomo era stato sorpreso due mesi prima a fotografare delle donne all’interno di un supermercato: le vittime avevano denunciato e la polizia scavando nei device dell’uomo aveva trovato i video.
“Mi mostrano una fotografia. Non ho gli occhiali. Non riconosco la donna sul letto. Il poliziotto mi dice: ‘Signora Pelicot, guardi bene’. Faccio fatica a riconoscermi, sono vestita in un certo modo. Sono inerte, addormentata, e mi stanno violentando. Stupro è la parola sbagliata, è una barbarie”. Una volta scoperto quanto commesso da suo marito, Gisèle Pélicot ha ricordato: “Il mio mondo è crollato. Tutto quello che avevo costruito con il signor Pélicot è crollato: tre figli, sette nipoti, una coppia innamorata. Anche i nostri amici ci dicevano che eravamo la coppia ideale”.
La donna, oggi 72enne, ha poi fatto riferimento ai 51 uomini identificati e sotto processo con il marito per averla violentata: “Penso che sia legittimo che ammettano i fatti, qualsiasi altra cosa è insopportabile. C’è già un sentimento di disgusto. Almeno una volta nella vita, dovrebbero avere la responsabilità di ammettere ciò che hanno fatto. Sto resistendo a questo processo, perché penso che il danno sia stato fatto. Questo è il motivo principale per cui ho voluto aprire questa processo che inizialmente era previsto a porte chiuse. Lo faccio a nome di tutte quelle donne che potrebbero non essere mai riconosciute come vittime”.